Per antichi palazzi
che tornano a vivere

Le migliori iniziative collaterali della Biennale

L’esposizione d’arte è anche l’occasione per aprire al pubblico antichi palazzi veneziani pubblici e privati normalmente chiusi, disabitati e spesso anche abbandonati. In queste eleganti e un tempo vivacissime dimore che nascondono caminetti piastrellati e travi a vista decorate, pullula una miriade di eventi non sempre memorabili. Abbiamo scelto quelli più originali. E alcuni veramente imperdibili.

VENEZIA — La Biennale è diventata uno spettacolo dove a farla da padroni sono il mercato e gli sponsor, con buona pace della qualità delle opere. Per i pochi veneziani è comunque l’unica occasione di veder riaperti antichi palazzi altrimenti chiusi e disabitati. Così queste eleganti dimore che conservano antichi caminetti piastrellati e travi a vista decorate, risuonano, ma solo per una breve stagione, di voci e di passi. Ecco quali.

Fondazione Querini Stampalia, Santa Maria Formosa
Jimmie Durham, 1940, Usa
Venice: Objects, Work and Tourism

Da quattro anni questo artista visivo, saggista e poeta, lavora a un progetto su Venezia che ha sviluppato parlando alle persone che lavorano in questa città. L’installazione nell’area Carlo Scarpa è costituita da materiali che sono fondamentali, come il vetro, i mattoni e la pietra. Durham ha così creato oggetti che sono il frutto di combinazioni inattese. Le sue sculture sparse per le sale del museo si pongono improvvisamente sul pavimento di fronte allo spettatore, frutto di combinazioni di diversi materiali che fanno parte della struttura delle case e dall’artigianato veneziano. Dodici gli interventi disseminati per le sale, nei quali il vetro si combina con l’acciaio, la pietra e la colla, il metallo con la carta e la pittura per dare origine a oggetti particolari un po’ surreali e un po’ fantastici.

Palazzo Grimani, Santa Maria Formosa
Frontiers Reimagined, Art that connects us
Curatori Sandaram Tagore e Marius Kwint

Quarantaquattro artisti di venticinque nazioni per sessantacinque opere, scelti in base alla loro capacità di dialogo interculturale. La fondazione internazionale Tagore fondata da Sundaram Tagore nel 2006 si propone di promuovere un dialogo sociale, spirituale ed estetico tra l’Asia e le altre zone del mondo. Vuole inoltre attirare l’attenzione verso espressioni artistiche poco conosciute e rappresentate. Così nel cortile del restaurato Palazzo Grimani ci accolgono suoni soffusi di gong e nel portego Wings III di Alfredo ed Isabel Aquilizan 2009, grandi ali su supporto metallico costituite da infradito di gomma. Ormai le opere d’arte non sono soltanto oggetti da vedere, ma elementi di interazione con gli spettatori. Sempre più spettacolari, sempre più invasive, sempre più interattive le opere d’arte richiedono un coinvolgimento non solo visivo. Così il terrazzo del portego del primo piano è completamente coperto di teschietti di pietra sui quali gli spettatori sono invitati a camminare a piedi nudi a loro rischio e pericolo. Mia nipote non si è fatta pregare, camminare a piedi nudi sui piccoli teschi era per lei solo un gioco, mentre in me ha suscitato pensieri foschi, memore delle stragi quotidiane dei migranti e di guerre non lontane. A Venezia del resto camminiamo quotidianamente sui campi antistanti le chiese, che altro non erano che camposanti per tutti coloro che non potevano permettersi una lapide in chiesa.

Proportio
Palazzo Fortuny, Campo San Beneto

In questo palazzo dal fascino intramontabile, dopo le grandi mostre di Artetempo (2007), Infinitum (2009) e TRA (2011), ora Proportio, una evidente indagine sulle proporzioni. Il sacro si fonde col profano, principi geometrici confluiscono e si mescolano con esoteriche conoscenze spirituali. Ci sono artisti, scienziati, architetti e filosofi tutti insieme appassionatamente. Antichi maestri come Botticelli e Antonio Canova convivono con reperti egiziani e un numero quasi infinito di artisti contemporanei chiamati a creare un’opera su questo tema. Si va da gigantografie di cattedrali medievali di Markus Brunetti a sculture di Chillida e Renato Nicolodi. Imponenti, e poco proporzionate, installazioni, si fondono con video. Al piano nobile sono molti i modelli e i plastici di opere architettoniche. Vi è anche una biblioteca ideale con gli antichi trattati di Vitruvio, Alberti e Palladio. Il secondo piano presenta grandi opere bianche e installazioni come quella di Massimo Bartolini, e un neon di Francesco Candeloro. L’ultimo piano, con il padiglione wabi, si concentra sulle proporzioni del cosmo. Il numero di artisti è senza proporzioni, quasi infinitum, grande lo sconcerto e il senso di soffocamento che mi ha preso e non solo per le scale ripide. I curatori soffrono di horror vacui? mi sono domandata dopo aver ripreso fiato.

Ca’ Corner della Regina, Fondazione Prada, Santa Croce
Portable classic dall’antica Grecia all’Europa moderna

Certo è balsamico e ristoratore passare dal caos delle proporzioni del Fortuny all’eleganza misurata, classica, della Fondazione Prada, dove si espone: L’arte classica come seriale, iterativa, portatile. La mostra indaga sugli usi e riusi dell’arte classica, i curatori sono Salvatore Settis e Davide Gasparotto. E si esplorano origini e funzioni delle riproduzioni in miniatura di sculture classiche. L’Ercole Farnese è proposto attraverso un calco in gesso di 317 centimetri, accostato a una serie di riproduzioni moderne in scala e con materiali diversi quali il marmo, il bronzo e la terracotta da 15 a 130 centimetri. Capolavori in piccole dimensioni di epoca classica sono accostati a multipli di età rinascimentale. In alcuni importanti dipinti di Lorenzo Lotto e Tintoretto, i soggetti sono ritratti tra sculture in gesso e calchi provenienti dalle loro raccolte. Sorprendente il popolo di statue del vestibolo: vi sono riproduzioni in gesso dell’Apollo del Belvedere, Il Laocoonte, il Galata Morente ed altri. Muoversi tra la perfezione classica dei gessi antichi ristora e illumina dopo tanta arte povera, casual o gestuale.

Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna
Cy Twombly
Paradise

A Ca’ Pesaro, oltre alla collezione permanente, sono presenti due artisti molto lontani e diversi fra loro. All’ultimo piano il Muve contemporaneo che dialoga tra passato e presente dedica un ampio spazio all’opera di Cy Tombly (1928-2011) a quattro anni dalla sua morte. L’artista reagisce all’espressionismo astratto, dominante nella sua generazione, non verso pop o neodadaismo, ma usando la tecnica dell’astrazione gestuale. Le sue grandi tele sono scrittura pittorica dove parole, frasi, poesie, si intersecano. Le ultime otto tele prima della morte sono grandi cerchi in giallo, rosso e arancione, un paradiso terrestre nel quale l’artista riversa e trasfigura nel presente le emozioni del passato. Si tratta di quaranta opere in tecnica mista che spaziano dal 1951 al 2011.

Ca’ Pesaro
Cagnaccio di San Pietro
Il richiamo della Nuova Oggettività

Strettamente collegata alla mostra in corso al Museo Correr, Nuova Oggettività, arte in Germania al tempo della Repubblica di Weimar 1919-1933, è la retrospettiva dedicata a Cagnaccio di San Pietro (alias Natale Bentivoglio Scarpa, Desenzano del Garda 1897- Venezia 1946), che ritorna con le sue opere nella città dove mosse i primi passi della sua breve carriera artistica.
Ribelle, anticonformista, anarchico, solitario, da cui anche il soprannome Cagnaccio di San Pietro (isola che aveva scelto come sua dimora), cane sciolto della pittura italiana degli anni Trenta, era un utopista, un illuso che crede nell’impegno morale. Il suo segno incisivo e inconfondibile, inquadra con linee forti e pulite temi scottanti come testimoniano: Dopo l’orgia 1928 o Primo denaro 1928. Il suo realismo talvolta metafisico è accentuato dai colori freddi e intensi e dai punti di vista ripresi dal cinema e dalla fotografia.

Ca’ Pesaro
Filo conduttore
Federica Marangoni

Un filo di luce in cracked neon rosso attraversa la facciata del palazzo. Rivolo rosso di energia che taglia il palazzo dal tetto fin quasi all’acqua del canale dove incontra una bobina in lastra di vetro sul cui asse si avvolge. Anche nell’androne al piano terra due sale sono collegate dallo stesso filo che scorre su filo spinato dietro cui appare la scritta: Is not a good day to be Human. Pioniera fin dagli anni Sessanta e Settanta nella ricerca di nuovi materiali, usa vetro, luce , video, per installazioni e opere.

Museo Correr, Sala delle Quattro Porte
Jenny Holzer
War Paintings

Le mostre collaterali presenti al Correr, che spesso occupano una o due stanze della collezione permanente, bisogna proprio andarle a cercare con santa pazienza, perché le indicazioni sono scarsamente visibili. Questa piccola mostra si basa su documenti ingranditi rispetto agli originali su quadri serigrafati e dipinti a olio su lino, scritture crude . Tre Benches della Holzer fanno parte della Collezione permanente della Guggenheim, si trovano in giardino. L’artista opera ormai da trentacinque anni e presenta i suoi crudi messaggi con proiezioni che investono il paesaggio e l’architettura.

Palazzo Lezze, Campo San Stefano
Padiglione dell’Azerbaijan
Beyond the line

Presente per la seconda volta alla Biennale, quest’anno gli artisti trattano questioni sociali di politica ed ecologia. Artisti non conformisti del periodo sovietico, oscuri e sconosciuti fanno esplodere le tele con colori forti, espressivi, segni incisivi e crudi a denunciare una realtà difficile e povera. I temi sono quelli tradizionali della vita e della morte, dell’amore e dell’odio. La rappresentazione fa riferimento al folklore e alle tradizioni locali. Notevole l’installazione di legno di Huseyn Hagverdi (Baku 1956) che ricerca una sintesi di forma e colore.

Palazzo Pisani, Conservatorio Benedetto Marcello
Padiglione dell’Angola
The sound of creation

Il cortile del palazzo è occupato dall’opera labirinto sonora e visiva con tre frammenti tratti dal Don Giovanni di Mozart. Al piano nobile dello stesso, lame di machete coprono lo spazio di Antonio Ole’s, simbolo della resistenza di questo Stato. Mentre altri artisti riempiono di colore e di spessi segni forme primitive su tele e pannelli.

Gallerie dell’Accademia
Mario Merz
Città Irreale

Le Gallerie dell’Accademia, ampliate e restaurate ,rendono omaggio nel cortile palladiano, finalmente accessibile al pubblico, a Mario Merz. Esponente, nel secondo Novecento, del movimento artistico dell’arte povera, l’artista, con la sua installazione, vuole rendere omaggio a Venezia, città irreale per eccellenza, luogo dove natura e cultura trovano sintesi ed equilibrio. Elemento centrale della sua poetica è l’igloo, nicchia e rifugio circolare e protettivo come il ventre materno.

Nino Sarabutra, What Will You Leave Behind? (2012, Sundaram…

Per antichi palazzi che tornano a vivere