È tornato!
Finalmente. E promette delizie. Dopo una serie di avvisaglie, cioè di scaramucce e bisticci, ha sbattuto l’asso di trionfo: «Sì, io ci sto, ma mi dovete dare il cinquantuno per cento». Il Papi, il prototipo paradigmatico del parvenu preterintenzionale è finalmente sceso in campo, per rassicurare i milioni di elettori spaesati che, in cerca di qualcuno che li faccia ancora ridere, si erano rivolti ad un comico per niente divertente.
Ebbene sì: ne siamo felici. Lo abbiamo detto fin dall’inizio, che ci sarebbe mancato. E lui è tornato. E questa volta fa ancora più sul serio di prima.
Più sul serio, politicamente: alla fantastica triade dialettica di fandonie su cui si sorregge da vent’anni (il milione di posti di lavoro degli inizi, la riduzione delle tasse a intermittenza, e l’anticomunismo perenne) il Papi ha aggiunto il quarto cavaliere dell’apocalisse: fuori dall’euro. O noi, o la Germania, o gli altri. Tanto, tra il dire e il fare…
Più sul serio, umanamente: via la vecchia corte (basta Alfano ciazz palminteri delle baracche, basta Lavitola mister bin del rione sanità) dentro uomini nuovi (l’anfetaminico incazzosissimo Sgarbi, l’antistaminico furbissimo Diego Volpe Pasini Volpe) insieme scommettiamo ad altri nomi nuovi come Dell’Utri, Verdini, Ruby, Nicole, Emilio & Lele. Ma queste sono cose di cui si occuperanno, e già si stanno occupando, politologi e commentatori molto migliori di me.
Quello che importa è che finalmente avremo di che sorridere ogni mattina. Di farci scoppiare a ridere di gusto, alle ciclopiche pirotecniche cialtronerie del Papi. Mani sul culo a tutte, anche alle culone intrombabili, corni sulla testa alle foto ufficiali dei vitaminici G7 G8 G12 G20, bandane, fard, olgettine, colli spaziali di camicie fichissime, obama abbronzati, kapò di campi, cene burlesque, cucù e tante tante altre cose sparate con abilità sopraffina per celare ai gonzi (che siamo noi) movimenti di miliardi di euro in affari nebbiosi, cricche e ghenghe poco raccomandabili all’assalto della torta dello Stato, amicizie impresentabili e lacché strepitosi.
Lo dicemmo, e lo ripetiamo. Era ora! L’altro giorno era l’ottantasettesimo anniversario della nascita di Giovanni Spadolini: e mi sono commosso al pensiero di quel pacioccone parrocchiale ateo, lo zio grande grosso candidamente single, lo storico risorgimentale primo presidente del consiglio non democristiano della storia, gorgogliante di erre moscia, l’ex repubblichino divenuto repubblicano adorabile. Sul serio. Però poi mi è passata.
In fin dei conti. È probabile che Mario Monti e il suo governo Famiglia Addams non riescano a salvarci dal baratro, anzi; però ci stanno rattristando parecchio con le loro grime taccerianedi professoresse inacidite nella naftalina odore di gesso di lavagna e cancellino muffito. È probabile che Silvio Berlusconi e la sua picaresca Armata Brancaleone riciclata non riescano a salvarci dal baratro, anzi; però ci faranno divertire tantissimo con la loro eleganza da boss, le loro facce patibolari, le plastiche facciali, i labbroni botulinati, le fobie, le manie, gli scandali, i festini con minorenni di tutte le età e di tutti i sessi, fino forse a dar fuoco alle flatulenze in parlamento. È sempre meglio soffrire con il sorriso sulle labbra. ★