Ma guarda!
Una città metropolitana
Tra città, conurbazioni e aree metropolitane: ritornerà il sogno della Patreve?
Il decreto del governo per la revisione della spesa pubblica prevede, tra le varie misure per il contenimento della catastrofe, anche l’istituzione delle città metropolitane con relativa abolizione delle province. Com’era scontato le reazioni a favore e contro sono state intense, soprattutto a Venezia dove antichi campanilismi si intrecciano a disperati tentativi di sopravvivenza politica. Ma tutti fingono di accorgersi solo ora di una legge vecchia di vent’anni e la cui entrata in funzione era prevista da tempo, con o senza Mario Monti.
VENEZIA — E così, dopo più di vent’anni, Venezia si ritrova città metropolitana. Merito della crisi e dei tagli più che dei progetti e della volontà politica. Seppur la trasformazione avverrà — non è mai detta l’ultima parola con la politica dei veti incrociati, delle convergenze parallele, degli interessi reciproci, che raggiunge vette orgasmiche nella strana maggioranza che sostiene il governo Monti, e nell’ancor più bizzarra opposizione che lo contrasta — si tratterà, alla fine, solo di togliere i marchi della Provincia di Venezia su palazzi uffici divise mezzi carte intestate, sbaraccare (con riciclo, sicuramente) il consiglio provinciale e le cariche politiche di lato livello. Pare ragionevolmente insensato che nel breve volgere di qualche settimana il gigantesco apparato di burocrazia e innumerevoli competenze della provincia possa essere assorbito dal comune, se non appunto, arruolando armi e bagagli con una rinfrescata alle mostrine.
Com’era prevedibile, il decreto del governo per la revisione della spesa pubblica, dettato dalla necessità del risparmio rigoroso e tardivo più che da un progetto di progresso sociopolitico della nazione, ha riscosso gli entusiasmi comunali e le ire territoriali: ognuno vede le cose dal proprio angolo. Il sindaco Giorgio Orsoni: «Ho una visione positiva della città metropolitana, un’opportunità per gestire diversamente competenze specifiche. La trasformazione sarà un processo molto innovativo». Il presidente Francesca Zaccariotto: «Il territorio è lo stesso, il personale pure, si cambia solo il nome. Mi spieghino come si risparmia così». Il governatore Luca Zaia: «Un provvedimento avulso dalla realtà come questo rischia di buttare benzina sul fuoco di realtà piccole e medie che si sentirebbero, improvvisamente, private di un ente intermedio di rappresentanza».
Nei fatti è innegabile che soprattutto nel settore dei servizi (aeroporto, porto, energia, rifiuti, trasporti, tribunale e via dicendo) Venezia è il fulcro di una vasta diversità di bisogni e possibilità; è indiscutibile l’esistenza di una conurbazione centrale (area urbana di centri materialmente fusi insieme, nel nostro caso: Venezia, Mestre, Marcon, Mira, Quarto d’Altino, Spinea; di quasi trecentosessantamila abitanti) che si estende poi per gradi maggiori e minori nel resto del territorio.
Quello però che nessuno dice è che l’abolizione della provincia di Venezia — e con essa di altre quattordici aree urbane (Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Reggio Calabria, Trieste) — e la sua sostituzione con città metropolitane era in scadenza (prevista fin dal 2009) per la metà di maggio di quest’anno: il 21 maggio il governo avrebbe dovuto adottare un decreto legislativo per la loro istituzione. Secondo la legge l’area metropolitana di queste città coincide con l’estensione della provincia in quasi tutte (dieci su quindici: Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Reggio Calabria, Roma, Torino, Venezia) in altre quattro (Catania, Messina, Palermo e Trieste) vengono individuati vari comuni da accorpare (da un massimo di cinquantuno per Messina, a un minimo di nove per Trieste) mentre per Cagliari l’area è ancora non delimitata. La legge è rimasta là: il provvedimento adottato parzialmente adesso prevede (sulla carta) che le città metropolitane vengano istituite entro il 1° gennaio 2014. Ma in numero di dieci: «Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria. Contestualmente, verranno soppresse le relative province».
Secondo la legge del 5 maggio 2009 (n. 42) «le funzioni fondamentali della città metropolitana, con riguardo alla popolazione e al territorio metropolitano sono la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali; la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici; la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale». È innegabile che i servizi e le reti, i sistemi, le gestioni, la promozione e il coordinamento di un’area provinciale in un territorio come quello italiano coincidono con quelli che un capoluogo di provincia offre agli altri comuni circonvicini. Che questa estensione antropologica, sociale, culturale, storica e politica coincida e si esaurisca con i confini delle province è però un’altra questione. Non a caso sono rimaste fuori da questa draconiana istituzione estiva le cinque città metropolitane la cui area non collima esattamente con quella della provincia, ma secondo altri criteri modificano la loro estensione tenendo conto di altri fattori. L’impianto schiettamente burocratico delle città metropolitane che verranno (se verranno) è più che evidente.
Altra cosa, e molto più difficile da attuare, da decidere, da sviluppare, sono invece le ideali città metropolitane cui da decenni molte forze politiche ed economiche, ma soprattutto le tendenze reali della vita quotidiana, mirano: sono le grandi città che dovrebbe gestire le reali aree metropolitane italiane. Riunioni di due o più città vicine, unite da legami profondi soprattutto economici e strutturali, che da una gestione comune dell’economia e delle infrastrutture avrebbe molto da guadagnare nello sviluppo.
Di aree metropolitane si parla dalla seconda metà degli anni ottanta, quando i super sindaci di Milano (Carlo Tognoli, in carica dal 1976 al 1986 per il Psi) e di Torino (Diego Novelli, in carica dal 1975 al 1985 per il Pci) sul finire della loro carriera cittadina coccolavano l’idea di un’istituenda MiTo (Milano+Torino). Ma erano gli anni in cui il pentapartito regnava incontrastato e forse (con il senno di poi, che è nefasto) gli intenti, forse non universali ma a naso presenti, andavano ben oltre l’evoluzione socioeconomicopolitica (Carlo Tognoli, con il suo successore Paolo Pillitteri, fu tra i primi parlamentari in carica a beccarsi un avviso di garanzia di Tangentopoli, nel 1992).
Di area metropolitana del Veneto orientale di parla da poco meno. È la gigantesca PaTreVe (Padova+Treviso+Venezia, di recente ribattezzata Venice City-Region) che prese forma nell’immaginario collettivo locale a cavallo del 1990 quando fu varata la prima, inapplicata e vaga, legge sulle città metropolitane; e ogni tanto riaffiora con la forza di due milioni abbondanti di abitanti le cui attività sono strettamente intrecciate in una vasta e variabile rete di rapporti, con strutture potenti (il terzo aeroporto italiano, il primo porto mediterraneo, tre sedi universitarie di prestigio internazionale) con un tessuto sociale ad alta produttività; ma con notevoli difficoltà nell’interconnessione delle risorse e soprattutto senza un indirizzo comune.
Certo è che (a parte le solite polemiche idiote) l’annullamento contemporaneo di tre province venete (di cui una baluardo leghista) causerebbe contraccolpi politici incalcolabili; mentre la gestione comune delle potenzialità e delle difficoltà di una rete urbane di tali dimensioni potrebbe essere decisamente problematica, anche se la forza propulsiva e rivoluzionaria di un progetto del genere sarebbe di portata epocale.
Ma nel caso delle città metropolitane, come di moltissimi altri provvedimenti, appare ancora una volta evidente l’eccezionalità del presente italiano. Un governo d’emergenza cerca di risolvere rapidamente ciò che l’ignavia e la malafede di vent’anni di berlusconismo hanno lasciato da parte per inseguire le leggi a difesa del premier (e dei suoi festini). In un pachidermico e ottuso sistema politico in cui le decisioni non vengono mai prese (indipendentemente dai governi) e il quadro di riferimento è sempre approssimativo pretestuoso e inconcludente, l’istituzione delle dieci città metropolitane in poche settimane, dopo decenni di inutili rinvii, appare quello che è: una mossa tardiva, disperata e insufficiente. Anche se meglio che niente. ★