Il viaggio
L’ultimo capitolo de «L’anno più difficile della mia vita»
Si conclude il romanzo inedito di Giovanni Camali, «L’anno più difficile della mia vita». Questo decimo e ultimo capitolo intitolato «Il viaggio», fa seguito al nono «Dopo l’illusione», all’ottavo «Ma famille», al settimo «Il figlio», al sesto «Il voto», al quinto «Il destino», al quarto «La degustazione», al terzo «Il diario», al secondo «Lacrime vuote» e al primo «Il trench di Chloè». Li potete comodamente rileggere tutti -ancora per questa occasione gratuitamente- richiamandoli con il loro titolo dalle pagine del nostro archivio elettronico. Eccovi dunque le ultime pagine di questa storia che ha appassionato un numero sempre crescente di lettori: le intriganti avventure di una giovane psicologa francese in crisi di identità alle soglie dei trent’anni.
Ero così esausta che tutte le mie domande lasciarono spazio solo alla spossatezza quando, in treno da Venezia a Parigi, mi addormentai con il naso appiccicato al finestrino proprio come una bambina. In ospedale, la polizia aveva piantonato la stanza di Umberto, ma gli uomini di Poslar, o Poslar stesso, si introdussero nella camera e finirono, come detto, quello che avevano lasciato in sospeso. Le immagini del telegiornale mostravano l’elicottero della polizia che seguiva i presunti colpevoli.
Alberto era partito cancellando le sue tracce e la sua vera identità che scoprii ben presto, quando fui arrestata per favoreggiamento e occultazione delle prove. Gloria mi aveva letteralmente incastrato; magistralmente aveva architettato un piano diabolico per rapire Nina, il mio amore. “Certo che avrei dovuto capirlo prima!”, mi dissi. Probabilmente già il giorno in cui Gloria pronunciò quella stupida e insignificante frase: «Sono invidiosa di te perché vorrei essere come te, ma non ci riesco. Tu sei perfetta!». O forse anche prima, chissà? Comunque avrei dovuto capirlo! Nel periodo in cui stava con Umberto in realtà la bastarda stava contemporaneamente con Ermanno e quando scoprì di non poter aver figli pensò di organizzare questa mostruosità ai miei danni. La cosa d’altronde sembrò e risultò più semplice del previsto da orchestrare.
Gloria aveva scoperto i traffici loschi di Umberto, inoltre si era accorta che ogni quarantacinque giorni il suo zainetto si gonfiava di euro e più i giorni si facevano lunghi, più Umberto si drogava, per fronteggiare la paura, lo stress e la pressione che quel mondo gli incuteva. Il rovescio di una medaglia che lo teneva sempre sul filo del rasoio rendendolo una facile preda nonostante il ruolo e l’importante disponibilità economica potessero far presupporre il contrario. Gloria lo raggirò e in modo subdolo lo fece avvicinare da Ermanno tanto che i due pian piano divennero amici. Ermanno era entrato perfettamente nella parte dell’amico buono. A quel punto era sufficiente trovare la persona che mi avrebbe dovuta incastrare. Chi meglio di Alberto, il presunto figlio di Marco?
Tutto combaciava: l’età, la prima moglie, la nazionalità estera, ma soprattutto quella eredità assurda di cui solo io potevo essere a conoscenza, almeno così credevo. Alberto invece si rivelò essere un certo, banale, Tiziano Scarpa, amico di Ermanno e segretario del notaio Sarti. Facilmente aveva libero accesso agli atti notarili, anzi, era lui che li consegnava direttamente al notaio prima della lettura, e Tiziano aveva il vizietto di leggersi privatamente tutti gli atti. I tre organizzarono il tutto una fottuta sera davanti ad una birra e una striscia di cocaina. Alberto, alias Tiziano, avrebbe interpretato il ruolo del figlio di Marco ricavandone trecentomila euro a mani pulite, solo per aver folleggiato con me e avermi preso per il culo in tutto, ma soprattutto con la telefonata salva vita. Poslar, probabilmente era un moldavo reclutato per la strada e forse se la sono cavata con duecento euro. Ermanno mi aveva fatto credere di essermi messa in contatto con i russi che, a questo punto non so ancora se fossero veramente stati loro a far fuori Umberto o se invece sia stato un sicario assoldato da quei demoni di Gloria ed Ermanno.
Tutto era contro di me e l’angoscia e la rabbia che avevo al pensiero che Gloria potesse scappare con Nina mi distruggevano. La polizia continuava a farmi domande stupide, io non stavo più nella pelle e continuavo ad autotraumatizzarmi le mani con le unghie per cercare di non sbottare. Sapevo che dovevo stare tranquilla per non inasprire i toni di quel dialogo informale. «Signorina, signorina, signorina, si svegli, siamo arrivati in stazione a Parigi!» Il capotreno per fortuna mi stava scuotendo la spalla cercando di svegliarmi. A fatica sgranai gli occhi, non capivo ancora in quale realtà fossi, poi piano piano apprezzai il ritorno alla normalità, ma mi rimase l’angoscia di quell’incubo che mi aveva accompagnato per tutto il viaggio di ritorno. Un fottuto incubo in quelle poche ore di viaggio sembrava essere riuscito a farmi vivere l’ansia più tremenda che la mia storia avesse potuto prendere. Ero solo parzialmente sollevata dopo il risveglio perché non capivo veramente cosa fosse successo. Troppo forti le emozioni appena passate e l’unica cosa che mi interessava e che avrebbe resettato il mio equilibrio mentale sarebbe stata quella di riabbracciare Nina, perché continuavo, nonostante avessi capito che si trattasse di un sogno, ad avere quel senso di angoscia e preoccupazione.
Quasi senza bagaglio, a testa bassa e con i piedi uno dietro l’altro più concentrati a seguire la fuga grigiastra delle piastrelle, che non a cercare l’uscita, che già conoscevo a memoria e dopo alcuni minuti ero pronta a rialzare la testa per rivedere la città con la sua caotica normalità. Non mi sentivo pronta, anzi ero completamente svuotata dall’anno più difficile della mia vita, milioni di immagini ed emozioni mi spezzavano il cuore e più scavavo nei ricordi e nelle emozioni più mi vedevo bambina tra le braccia del papà mentre mi accarezzava i capelli. Non stavo facendo un ripulisti generale, non era un rifiuto nei confronti del presente, forse era la mia ancora emozionale, quella che ognuno di noi porta con se nei momenti di sconforto. Comunque volevo che quell’anno finisse, un anno difficile che mi aveva regalato Nina, ma non solo. Per fortuna però avevo riscoperto una consolidata certezza: l’amore dei miei genitori, l’affetto di una amica, forse un po’ sopra le righe, “Gloria”, l’amore per un uomo, “Marco”, che non c’era già più, ma che in così poco tempo aveva dato un senso alla mia vita, infine Alberto, probabilmente il mio futuro, anzi sicuramente il mio futuro!
Lo capii da una semplice fotografia che non dimenticherò mai, il quadro che avrei voluto vedere e che a quel punto non era un sogno, quando, alzando finalmente la testa fuori dalla stazione “il Monet” della mia vita si materializzò ai miei occhi: Alberto teneva Nina in braccio, mon père et ma mère al suo fianco e Gloria appena in disparte ad incorniciare questo nuovo meraviglioso quadro. Ma immagino di non potervi lasciare così, con tutte le domande su Alberto che vi saranno venute in mente. Avete ragione! In fondo questo possiamo dirlo serenamente è stato l’anno più difficile della mia vita, ma è stato anche ricco. Ricco di emozioni e di cose che porterò sempre con me, dal canto della balenottera in amore, alla mafia russa. Beh, a proposito di mafia Russa, vi ricordate che lavoro faceva Alberto? Lo skipper di barche a vela! Il miglior posto per incontrare gente facoltosa e con denaro. Penso abbiate capito! Davvero, è bastata una telefonata ad un quasi amico appartenente ad un mondo diverso dal nostro, ma che in questo frangente era convergente. A volte i destini delle persone si incrociano forse per caso o forse davvero perché è destino!
E la sorellina? Curiosi e pettegoli! Alberto come potrebbe non amarla, stiamo parlando di Nina! Piuttosto, lasciate a Mariano la scelta di che fine far fare a Gloria! Ahhhhh…
Grazie
(10 – fine)