Il destino

Il quinto capitolo de «L’anno più difficile della mia vita»

Prosegue la pubblicazione per capitoli del romanzo inedito di Giovanni Camali, «L’anno più difficile della mia vita». Il quinto capitolo, «Il destino», segue al quarto, «La degustazione», al terzo, «Il diario», al secondo, «Lacrime vuote», e al primo, «Il trench di Chloè». Li potrete comodamente rileggere tutti gratuitamente richiamandoli, con il loro titolo, dalle pagine del nostro archivio elettronico. Ogni mese, in esclusiva per «Il Ridotto», un nuovo capitolo di questa storia che appassiona un numero sempre crescente di lettori: le avventure veneziane di una psicologa francese in crisi di identità alla soglia dei trent’anni.

«Oggi sarà sempre meglio di domani, perché il tuo domani è oggi». Nella sua concezione della vita c’era tutta la logica del vivere, non in prospettiva del domani, ma con quella voglia di ringraziare il creato per ogni singolo respiro regalato. Con questo messaggio, Marco aveva concluso il suo diario e seppur velatamente mi ricordasse il famoso carpe diem, non riuscivo a trovare nei giorni che trascorrevano inesorabili, nulla. Nulla di cui gioire, nulla per cui valesse la pena vivere se non il malinconico ricordo di quello che avevo perso. Ero talmente arrabbiata col mondo che avevo le budella ‘intorcolate’, lo stomaco bloccato e non riuscivo a mangiare.

Passai giorni davvero terribili, ma mi dovevo rimboccare le maniche perché, come diceva il mio amico Dennis, la vita va avanti. Una frase buttata lì così e di circostanza, da un amico qualunque che cercava di consolarmi con delle parole. Parole di conforto che non esistono in alcun vocabolario, se non parole povere, cioè meschine, parole mendaci, cioè parole che nascondono un’amara verità, parole che è meglio non ascoltare perché fanno solo male. Noi nella nostra disperazione sappiamo che la vita va avanti, ma avremmo voluto fermarla, anzi avremmo voluto poter riavvolgere quel nastro e cancellare ciò che non ci piaceva, ma lo sappiamo bene tutti che non si può fare.

Allora! Allora dobbiamo accettare quella sterile frase: «La vita va avanti». Eppure, più pensavo a quelle parole e più mi montava la rabbia, perché era una frase foriera di sconfitta e rassegnazione. Sapevo che Marco non mi avrebbe abbracciata mai più, ma io invece sentivo che l’avrei fatto per sempre…Ogni santo giorno ripresi ad andare a lavorare. Facevo finta di essere serena, ma mi sentivo a pezzi. Uscivo dal locale disgustata dagli odori e da quella gentaglia che beveva solo per il gusto di ubriacarsi ed io mi mettevo a vomitare all’angolo della strada o giù, direttamente in un canale.

Cercavo di evitare almeno di passare sotto casa di Marco, ma non serviva a nulla perché tutti ci conoscevano e camminare per Venezia, almeno per me, stava diventando una Via Crucis. Ero ormai uno straccio, ma l’indomani mi sarei fatta un’iniezione di vita con Gloria, la mia migliore amica. Avevamo optato per un pomeriggio di coccole, appuntamento alle 16.00 al Florian per un tè, ma i patti erano chiari: argomento off limits — ovviamente Marco. Gloria faceva del suo meglio per distrarmi cercando di sconvolgermi con tutte le sue storie d’amore. Oddio, proprio d’amore non direi, piuttosto di sesso, anche se Gloria in fondo è una romantica. E glielo spiattellai in faccia: «Dai Gloria, non dire cazzate, in fondo lo sai di essere una romantica!»

Come se nulla fosse, mi guardò dicendo: «Non so più cos’è il romanticismo, mi piace essere scopata, mi piacciono anche le donne, quindi attenta, ahh.., ma ti dirò di più, quasi quasi mi rifaccio il seno e mi dò al porno, o mi faccio una gang bang, perché non mi stimolo più con niente». Non pensavo fosse arrivata a tanto: quando mi raccontava di queste nefandezze pensavo esagerasse, ma oggi mi sembrava convincente. In passato ne avevamo un po’ discusso, personalmente pensavo fosse una fase di transizione, comunque ero sicura, almeno fino a quel momento, che il suo fosse un atteggiamento per soffocare un malessere.

Cosa fosse scattato in lei per farle gettare la vita alle ortiche sembrava essere un mistero, perché lei di sbottonarsi e mostrare a nudo le sue debolezze non ne voleva sapere. Sembrava quasi più divertita a raccontare delle sue storie di sesso, di come seduceva gli uomini, di come si faceva usare, delle tecniche di bondage e ogni volta che l’incontravo, rincarava la dose. Era disarmante quanto fosse instabile e fragile pur avendo una educazione — ma soprattutto, una mentalità — militare. Mi raccontava del suo attuale compagno come di uno psicopatico, non c’era giorno che non facessero una discussione, non c’era giorno che non volassero oggetti per la casa e nonostante odiasse quello stile di vita aveva passivamente imparato ad accettarlo.
Non faceva più le sue classiche sceneggiate che la portavano a scappare di casa e rifugiarsi per giorni a dormire a casa mia. Al contrario, era diventata con il suo lui quasi remissiva, limitandosi, dopo una discussione, a uscire di casa, sbattergli la porta in faccia, per tornare pacifica dopo cinque minuti come nulla fosse successo.

Si sentiva ossessionata dal controllo, dalla possessività che quest’uomo le vomitava addosso, ma piuttosto che risolvere il problema alla radice, divenne sempre più brava nell’arte del travestimento, della finzione e col cellulare poi, ormai gli hacker le facevano un baffo. «Gloria» le dissi, «non puoi continuare così: è normale che tu ti stia rifugiando in storie di sesso malato; sei già arrivata a farti legare, incappucciare per farti sodomizzare da una col dildo legato in vita mentre leccavi le tette a un’altra, ma dove stai andando?» le chiesi. Mi guardò come se il fatto non fosse suo, come se ormai avesse imparato a bluffare come un giocatore di poker, ma io sapevo che il suo cuore era grande come quello di una montagna, e le dissi semplicemente: «Non farti del male, il rispetto è il segreto per uscire da questa situazione». Una piccola lacrima forse fece capolino dai suoi occhi, ma girò subito il discorso e ritornò a parlarmi del mio stato di salute.

«Non ti vedo bene» continuava a ripetermi, al che, un po’ spazientita, le risposi: «Beh, Gloria, cosa posso dirti, non è che sto passando proprio un bel periodo!» Gloria, quasi offesa, disse in modo ironico: «Ma va, non lo sapevo!» Poi aggiunse: «Non sarai mica incinta?!» Mi paralizzai letteralmente al tavolino, strinsi forte i braccioli della seggiola, mi alzai di scatto e la liquidai con un «Sei una stronza, tieniteli pure i tuoi bondage di merda!». Ero così offesa da quelle parole che non volli nemmeno minimamente pensare che quell’ipotesi potesse avere un fondo di verità. Tornai verso casa di corsa prendendo a calci ogni singolo oggetto mi si parasse difronte e in testa mi risuonavano come un macigno le parole di Gloria. Non sarai mica incinta, non sarai mica incinta…Avrei potuto prendere un fottutissimo test di gravidanza e mi sarei tolta ogni dubbio, ma stava crescendo in me l’illusione di poterlo essere concretamente e non mi sentivo pronta per affrontare una nuova sconfitta. «Cazzo, cazzo, cazzo! Gloria, ma cosa mi hai messo in testa?»

Passai dei giorni terribili e non mi presentai nemmeno al lavoro, fumavo come una turca e camminavo su e giù per il corridoio di casa con quel chiodo fisso. Davvero, non ce la facevo più e chiamai quella stronza di Gloria e le dissi: «Bastarda, sono tre giorni che non dormo per quella frase di merda che mi hai detto. Adesso vai in farmacia e compri un fottuto test di gravidanza e ti fiondi da me! Capito?» Gloria non replicò minimamente e dopo nemmeno mezz’ora stava suonando il campanello di casa. No, non era lei! Ma di lì a poco arrivò col pacchetto. «Chiedimi scusa» mi disse, «altrimenti non ti dò il test, dai, chiedimi scusa a prescindere dal risultato. Mi hai fatto veramente male con le tue parole, ma io ti ho già perdonato. Adesso tocca a te, su, dai». In fondo aveva ragione, non aveva lanciato un sasso nello stagno per il solo gusto di vedere i cerchi. Lei l’aveva detto col cuore, ed ero io mal disposta.
«Gloria» le dissi, «hai ragione…», ma mi fermò e mi abbracciò fortissimo, poi di colpo mi allontanò dicendo: «Porca miseria, che pancia che hai! Sei incinta davvero.» E scoppiammo a ridere come due ebeti. E come due ebeti ci mettemmo al tavolo della cucina a leggere le istruzioni del test.

«Dai, vai a fare la pipì in un bicchiere» disse Gloria, ed io replicando, «Ma va bene anche se non è sterile?», «Ma che ne so io!» rispose, «Falla e basta.» Immergere la strisciolina nell’urina aspettare cinque minuti e poi leggere il risultato. Non passarono nemmeno trenta secondi ed ero già incinta, alla prima, alla seconda, terza e quinta strisciolina. Aspettavo un figlio da Marco e uno tsunami di sensazioni mi travolse, primo tra tutti il bacio in bocca di Gloria!!!

(5 - continua)

Amore e bondage (fonte: Desiderosamente).

Il destino