Il bisatto
liberato

Un sospiro di sollievo sul voto al referendum

Per molti giorni ci siamo sentiti come i bisatti sui banchi di pesce del mercato di Rialto. Boccheggianti, scivolosi, guizzanti. Bramosi di libertà, ma certi di finire in padella. Il bisatto, in lingua veneziana, è l’anguilla: e ci sono molti modi di cucinarlo. Primo fra tutti la graticola, a basso calore, deliziosissimo; ma poi anche in umido, grassissimo, e poi fritto, ottimo. Il bisatto è un animale indomito, resistentissimo, fortissimo. Esso scivola da tutte le parti e rimane vivo anche mentre lo tagliate a pezzi, detti murelli (per un po’, almeno). Adesso invece non ci sentiamo più bisatti: è arrivato baffino!

Il motivo del nostro disperato bisattismo era l’indecisione tra sì e no, diserzione e annullamento, nel prossimo inevitabile referendum, che stavolta riguarda le riforme più o meno istituzionali e che è anche, mirabile visu, un referendum confermativo, e non abrogativo (ma questo è ormai irrilevante). Il motivo dell’indecisione profonda, che generava questo peculiare sentimento di impotenza dibattente e futilmente indomita, erano molti motivi.

Primo fra tutti la ribrezzevole qualità delle riforme sottoposte al giudizio popolare. Molti meglio di noi hanno già indicato i moltissimi difetti di questa patetica sequela di misure, per cui non staremo qui a tediarvi con dettagli che potrete trovare ovunque. Diciamo concisamente che è una riforma ridicola. Principalmente la trasformazione del senato in un salotto di raccomandati delle regioni e la fine del bicameralismo segnano un lungo percorso di antiparlamentarismo le cui radici italiche sprofondano fin nelle aule sorde e grigie di ducesca memoria. Questo era un aspro pungolo a votare no.

Secondo dei motivi era la risibile e inaccettabile personalizzazione del referendum subito iniziata dall’imbarazzante propositore della medesima, il capo del governo. Come molte volte abbiamo già scritto (in questo Paese si vota di continuo e noi anziani ripetiamo sempre le stesse cose) il più grande difetto delle consultazioni elettorali italiane è che vengono sempre investite d’altri significati. Votare pro o contro la riforma, quindi, è subito diventato invece votare pro o contro il primo ministro: non solo per il passato, ma anche per il futuro; non solo per le sue idee (se ne ha) ma anche per come egli è; accettando entusiasticamente o rifiutando sdegnosamente l’intero pacchetto: dalla politica passata presente e futura del governo, fino alla scelta dei vestiti del premier e delle ministre; passando casualmente per le riforme. Questo era lo stimolo fortissimo a non andare a votare.

Terzo dei motivi era l’imbarazzante compagine dei sostenitori del no. Era evidente fin dall’inizio delle vociferazioni attorno al referendum che i propugnatori dell’avversione alle riforme lo facevano esclusivamente per far cadere il governo, un po’ per calcolo, un po’ per speranza, un po’ per antipatia, un po’ perché l’orchiclastia dà assuefazione e dipendenza. Una congerie congenita di oppositori ad oltranza, di protestatari prostatici. Essere complici e correi di questo coro isterico e nevrotico è l’ultima cosa che vorremmo si ricordasse di noi e quindi ciò era un bell’incentivo votare entrambe le posizioni simultaneamente sulla stessa scheda annullandola irreparabilmente.

Quarto dei motivi era il pensamento che al di là delle considerazioni ideali sulle riforme in questione esse sopperiscono a un’ineludibile compito: dimostrare al resto del mondo che il più paludoso dei grandi paesi del mondo è anch’esso in grado di fare delle riforme costituzionali, perdindirindina! Certo: a guardare bene si riformano le uniche cose che si possono riformare o abrogare. Ci piacerebbe stare qui a sviscerare la pochezza delle trasformazioni e delle abolizioni ma se il lettore ha qualche minuto libero subito la scoprirà; noi di certo non ce l’abbiamo per scriverla. Così, visto che fare queste benedette riforme lascerebbe tutti contenti, soprattutto quelli che sono sempre lì a controllarci, ecco che ciò era una spinta irresistibile a votare sì.

Ma tutti questi quattro motivi si dibattevano dentro di noi ogni volta che ci arrovellavamo sul quesito: sì o no; nulla o astensione? Bianca neanche a parlarne perché non siamo di quelli che tra «sì» e «no» scelgono «non so». Ed era così ogni giorno fino a ieri. Piuttosto snervante, non è vero?

Poi è arrivato baffino e la sua armata stracciona degli zombi del passato, prossimo remoto e trapassato. Eccoli qua: il patibolare Gasparri con il pulcinellesco Quagliariello, il ponzante Rodotà, l’arciragioniere Cirino Pomicino, il titanico Brunetta, il barbudo Ingroia, il possibile Civati, l’ibernato Fini e l’indomabile Salvi; e poi Zagrebelsky e Alemanno, e Meloni, e Castellina e, udite udite udite: Ciriaco De Mita (l’unico che si merita il nome e cognome perché è e resta un esempio incomparabile. Di cosa?).

Ma non è finita qui! Questa allegra brigata di pompieri delle riforme, che con i loro potenti idranti dovrebbero spegnere il rogo della democrazia, promette (cito a memoria) di aprire «una stagione di riforme» subito dopo aver vinto il referendum con il loro no. Con l’aiuto di Silvio Papi Berlusconi (egli si merita anche il soprannome) e di Grillo. Baffino della fallita bicamerale, del fallito conflitto d’interessi, delle fallite riforme dei primi anni novanta: quel baffino lì. L’unico che non si merita nemmeno il cognome. E tutta la turma di lambiccatori falliti. Ma per favore.

Succede, alle volte, che dopo tanto dibattersi nelle fredde vasche d’acciaio inossidabile, qualche irredimibile bisatto colga il guizzo favorevole e balzi giù dal banco del pesce, saltando le aguzze sponde; il pazzo bisatto abbandona al loro gramo destino i compagni di sventura destinati alla cottura.

Dimenandosi a più non posso, il palpitante animale serpeggia ora fremente sui masegni, lubrichi di ghiaccio disciolto e secchiate rinfrescanti, si dimena tra le scarpe delle signore che lo schifano inorridite, degli stupiti turisti che lo ammirano imbarazzati (e anche di qualche signore veneziano, che per vari motivi, esistenziali, subito si sente partecipe delle fatiche del pesce fuggitivo).

Prenderlo è impossibile: il bisatto sente l’odore del canale. Il richiamo irresistibile della libertà. È un attimo: prima era qui, un guizzo dopo è già dentro il Canal Grande!

Così alla fine, voteremo sì. Rinunceremo ad una nuova stagione di riforme. Ci accontentiamo di queste. Grazie baffino!

Il Bisatto Liberato.

Il bisatto liberato