Forte
dei
Russi

Da Mosca con furore (immobiliare)

L’arrivo in massa dei nuovi ricchi russi a Forte dei Marmi ha cambiato i connotati alla celebre perla della Versilia culla dei vip. Perché non cercano case in affitto ma da comperare. E le trovano. La denuncia dello scrittore versiliese Fabio Genovesi, autore di un torrido pamphlet perfidamente intitolato «Morte dei Marmi».

FORTE DEI MARMI (r. b.) — Che qualcosa sia cambiato, lo vedi dalle automobili parcheggiate sul lungomare. Che già ti chiedi come diavolo hanno fatto a parcheggiare in un posto come quello dove non c’è mai posto, e tra un’auto e l’altra non ci passa neanche uno stecchino. Comunque la sera la gente va a passeggio sul lungomare per guardare le macchine parcheggiate sul lungomare. Sul lungomare di Forte dei Marmi c’è la più alta concentrazione di Ferrari mai vista al mondo.

Ferrari di tutti i colori. Verde ramarro, malva pallido, pervinca acceso. A stelle e strisce, a scacchi ed a pois. E mimetiche come quella di Lapo Elkann. Ma non solo Ferrari. Anche Bentley e Porsche, Jaguar e Maserati. E Suv giganteschi dai vetri oscurati, grandi come carri armati. Ma non è questo che è cambiato. Le macchine di lusso ci sono sempre state a Forte dei Marmi. Quello che è cambiato sono le targhe. La maggioranza di queste auto, che prima erano milanesi e romane, adesso sono russe. Ecco cos’è cambiato. Forte dei Marmi, una delle più celebri spiagge italiane, è diventata Forte dei Russi.

Le guardano come astronavi marziane, queste sfolgoranti automobili russe, i fortemarmìni superstiti (si chiamano così gli abitanti del luogo), che stanno a giocare a carte e a guardare i culi delle donne che passano, seduti sotto un grande pitosforo vicino al lungo pontile. E il dibattito, prima ancora che sui russi proprietari delle macchine russe, e soprattutto sulle russe che accompagnano i proprietari delle macchine russe, è su come avranno fatto le macchine russe ad arrivare fin qui dalla Russia.

Le opinioni, nel merito, sono molto variegate, e talora contrastanti, al punto da dare vita, non di rado, ad accese discussioni notturne. Scartata l’ipotesi, poiché non suffragata da dati concreti, che siano state comperate in Italia e, una volta acquistate, le targhe italiane siano state sostituite da targhe russe procurate in precedenza (una minoranza sostiene artefatte, un’esigua minoranza rubate), l’opinione prevalente è che le auto russe siano davvero arrivate dalla Russia.

Il 40% dei fortemarmìni sostiene che siano arrivate via terra, dopo un giro vizioso, guidate non dai rispettivi proprietari (troppo stancante il viaggio), ma da ex piloti sovietici di formula tre rimasti disoccupati dopo la caduta del muro, e noleggiati per l’occasione. Le opinioni però divergono sensibilmente sull’itinerario prescelto. Il 25% ritiene invece che siano state spedite in Italia via treno, il 15% via aereo, il 10% via nave, il 6% via elicottero, il 4% mimetizzate in convogli militari dell’ex armata rossa.

Comunque sia, la nuova lingua ufficiale di Forte dei Marmi, che risuona dappertutto, per le strade e sulla spiaggia, nei bar e nelle raffinate boutique del centro come negli eleganti ristoranti sulla spiaggia, dal Maitò al Bistrot all’Orsa Maggiore, è il russo. I russi sono arrivati portandosi dietro «una loro idea del bello e del ricco, un’idea clamorosa e ingombrante», sostiene lo scrittore Fabio Genovesi, che è nato e vive a Forte dei Marmi.

Non sarebbe peraltro una novità assoluta. È già da un po’ di anni che i russi, i nuovi russi, i nuovi ricchi russi (ma come avranno fatto a diventare ricchi in così poco tempo che erano poveri da far paura?) vengono in vacanza nel nostro Paese dove scelgono le migliori città d’arte e le più belle località turistiche. La novità, la diversità, sta nel fatto che a Forte dei Marmi mica vogliono affittare una stanza o una casa per le vacanze. Macché. Vogliono comprare. Hanno i soldi, tanti soldi, e comprano, comprano tutto, case e ville, e terreni per costruirci ville. Villone hollywoodiane con piscine hollywoodiane, parchi, archi, statue, colonne, e fontane hollywoodiane che zampillano vodka tutto l’anno. Forte dei Marmi è diventata una provincia russa.

E pensare che «noi quando sono arrivati i russi non ce ne siamo mica accorti», racconta Fabio Genovesi nel suo piacevolissimo libro Morte dei Marmi (Laterza, 2012), un pamphlet dai risvolti agrodolci. «Nessuno ci aveva detto dei nuovi ricchi post Unione Sovietica, dei magnati di gas e petrolio, e il poco che sapevamo dei russi era un miscuglio di propaganda del Pci, propaganda opposta della Dc e scene assortite di film tipo Il Compagno Don Camillo. Quindi per noi i russi erano un popolo fiero e modesto, e insieme meschino e invidioso, tutto preso a portare avanti una causa comune che era quella di regalare il paradiso socialista al mondo intero oppure di affogare il pianeta sotto le bombe nucleari. E intanto, nel tempo libero, giocavano a scacchi e leggevano romanzi difficili e si sfondavano di vodka per digerire le cene a base di bambini».

Di qui la sorpresa, la meraviglia. «Ecco perché non li abbiamo riconosciuti — spiega lo scrittore versiliese — quando ce li siamo trovati a trotterellare per le vie del centro con la Lacoste rosa e le scarpe da barca di Gianni Agnelli e il cagnolino in braccio con collare di brillanti. Dov’erano il colbacco, i baffoni, lo sguardo sempre torvo sopra i cappotti color carbone?».

L’arrivo in massa dei russi, la svendita delle case ai russi, ha inferto un colpo mortale all’identità di un posto abitato da «un popolo che vive di turismo e insieme è il meno ospitale del pianeta», che già la stava perdendo a colpi di vip. L’analisi di Fabio Genovesi è amara, il suo atto di accusa contro il posto dov’è nato, è spietato: «Ormai non ci possiamo più permettere di frequentare i bagni del nostro paese». Per via dei prezzi, s’intende.

Ma nonostante tutto, nonostante lo straniamento, nonostante lo smarrimento, nonostante questo sentirsi estranei in casa propria, la sua conclusione è fiduciosa. Perché a dispetto di tutto, anche dei russi, questo è il mio paese, «this land is my land», come cantava Woody Guthrie, il menestrello vagabondo che ispirò Bob Dylan. «Io vivo a Morte dei Marmi — scrive Genovesi — anzi no, a Forte dei Marmi. Perché un paese non è morto se ancora ci vive qualcuno».

Mi viene in mente che si potrebbe dire la stessa cosa anche per qualche altro posto che soffre in modo analogo. Per esempio per Venezia. ★

Cosacchi a Forte dei Marmi

Forte dei Russi