Energia
brasiliana
Alcune strade e molti rischi per l’emergente potenza economica
Mentre l’Europa e gli Stati Uniti si dibattono duramente in una crisi di senescenza, il Brasile cresce rapidamente e ha fame di energia. Una fame disperata. Per soddisfarla nessuna scelta viene lasciata da parte: ma una strada non vale l’altra.
FLORIANOPOLIS (Santa Catarina) — Cominciamo dall’inferno. Verde. Sono nato nel 1959, ormai ne è passato del tempo. Da bambino mi appassionavano le carte geografiche, le informazioni geopolitiche, gli atlanti economici, le enciclopedie, quelle classiche in decine di volumi e quelle in edicole in fascicoli settimanali. Per questo mi ricordo con chiarezza alcuni dettagli della storia recente che formano una specie di prospettiva dell’evoluzione della questione ambientale e del modello energetico brasiliano.
Nella mia infanzia era comune l’espressione «inferno verde», usata di preferenza dai mezzi di comunicazione brasiliani per descrivere la regione amazzonica. L’espressione fu coniata dagli avventurieri spagnoli durante la conquista del Nuovo Mondo per descrivere le loro sofferenze nell’attraversare l’impenetrabile foresta alla ricerca del mitico Eldorado. Negli anni settanta la frontiera della modernità era «La strada transamazzonica: una vittoria sull’inferno verde». Questa visione di una foresta dantesca, nemica dello sviluppo e dell’avanzata della civilizzazione capitalistica occidentale (e anche socialista orientale, perché anche la retorica sovietica e cinese usava le stesse immagini), irradia i suoi riflessi anche nell’immaginario odierno.
Una foresta inondata per produrre energia elettrica «pulita» ha una sua logica utilitaristica apparente e immediata, ma in una visione più ampia la creazione – da semidei ingegneri — di un enorme bacino d’acqua avrà conseguenze pesanti sulla foresta superstite e sul corso del fiume prima e dopo lo sbarramento. Anche immaginando un mondo ideale in cui non vi sono abitanti nelle regioni da inondare, né animali né piante da proteggere, ci sono effetti secondari gravi e inaspettati. Il caso più appariscente delle conseguenze esterne sono i terremoti di assestamento sismico seguito al riempimento del lago gigante della diga cinese delle Tre Gole, la più grande del mondo.
Ma anche i gas prodotti dalla putrefazione della vegetazione sommersa dai nuovi enormi volumi d’acqua sono oggetto di studi che indicano un effetto perturbante sul clima. Boscaioli temerari rischiano ogni giorno la vita con apparecchiature di fortuna e motoseghe subacquee nel lago dell’Idroelettrica Tucuruí in Amazzonia e in altre opere iniziate negli anni della dittatura militare. Se ancora esistono alberi sfruttabili commercialmente, deve essere molto più grande la massa di materia organica in disfacimento sul fondo dei bacini. Scienziati e organizzazioni ambientaliste hanno già dato l’allarme su questo pericolo invisibile, ma sembra che parlino di un altro pianeta, dato che non ci sono ripercussioni di alcun tipo.
E se l’apparentemente pulita energia idroelettrica non è così pulita come sembra, l’alternativa nucleare come sarà?
Tra gli anni settanta e ottanta il Brasile affrontò una pressione tremenda contraria all’accordo tedesco-brasiliano che si concluse con la costruzione dell’impianto di Angra dos Reis. Il primo. Il secondo è stato terminato da pochi anni e la conclusione del terzo è prevista per il 2015. Localizzata nella costa fluminense a sud di Rio de Janeiro, la centrale nucleare appare oggi come un pugno in un occhio nel meraviglioso panorama circostante, non solo paesaggio storico e ambientale ma anche meta turistica tra le più ambite del paese. Nella complicata vicenda della costruzione di questo mostro, ricordo l’emblematica vicenda dei tubi prodotti dalla statunitense Westinghouse e acquistati dalla Eletrobràs: i tubi non vennero usati nella costruzione, non erano nemmeno contemplati dal progetto, ma il loro acquisto alleviò immediatamente la pressione americana contro la partnership tedesca e la centrale nucleare poté prendere vita. Un accordo del tubo.
Sappiamo che la prossimità con il mare serve come piano B nel caso di un incidente nucleare, con la necessità di grandi quantità di acqua per raffreddare il reattore; ma la recente tragedia di
Fukushima lascia legittimamente pensare che, anche se non esistono precedenti storici di tsunami in Brasile, eventi straordinari possono sempre accadere e sicuramente il Brasile non possiede né la preparazione né l’organizzazione sociale, economica, politica e culturale per affrontare le pesanti conseguenze di un incidente nucleare.
Eppure alcuni ambientalisti di spicco, come ad esempio James Lovelock autore dell’ipotesi biogeochimica Gaia, stavano iniziando ad accettare l’ipotesi nucleare come un’alternativa di produzione d’energia meno aggressiva per il pianeta. È chiaro che sarebbe altamente desiderabile una tecnologia nucleare senza scorie radioattive e senza pericoli di incidenti come Cernobil o Fukushima, ma è sicuro che proprio a causa di queste due catastrofi, molto presenti nell’immaginario degli elettori, sarà molto difficile trovare i fondi necessari alla ricerca di un nucleare più sicuro e più pulito.
Ci sono, è vero, idee più interessanti per la generazione di energia pulita ed ecologicamente sostenibile, ma ancora non hanno un significativo investimento da parte degli operatori del mercato dell’energia. Sembra più che altro che stiano solo seguendo le tendenze della società contemporanea, di movimenti come il consumo consapevole, o lo slow food per esempio, con progetti e idee che si affacciano appena sul mercato.
Va già meglio l’eolico, che in Brasile sfrutta principalmente le regioni dove il vento è costante come nella fascia tropicale del Nord Est e anche qui al Sud. Si parla anche di turbine idrauliche da collocare nel fondo dei fiumi più rapidi, sfruttando il moto dell’acqua senza dover sbarrarne il corso con una moderna e inutile piramide di cemento armato, necessaria più all’ego umano che all’ambiente terrestre.
Qui in Brasile si vede molto più più chiaramente l’emergere di un principio di autonomia nella generazione di energia in proprio tramite unità (eoliche, fotovoltaiche) in grado di soddisfare il fabbisogno di ogni famiglia. Chiaramente questo implicherebbe un cambiamento radicale nel modello del mondo economico e industriale che esiste oggi, con conseguenze politiche e sociali. L’organizzazione sociale umana è molto conservativa quando si tratta di garantire i propri investimenti.
Pochi lo ricordano, ma la supremazia brasiliana nella produzione di etanolo come combustibile di consumo di massa, con il paese finora in grado di sostenere una struttura logistica ed economica per offrirlo a prezzi competitivi rispetto ai derivati del petrolio, è frutto di circostanze non molto democratiche. Erano in atto le conseguenze della crisi del petrolio del 1973, il capo del Servizio Nazionale d’Informazione, il generale Ernesto Geisel (dal 1974 capo della giunta militare al potere), incaricò il ministro delle miniere e dell’energia Sigeaki Ueki di sviluppare una soluzione brasiliana per il rifornimento della crescente massa di veicoli brasiliani. Il programma di sviluppo di motori ad etanolo fu ideato dal fisico José Bautista Vidal e dal «padre» del motore ad alcol, Urbano Ernesto Stumpf, nei laboratori di propulsori aerei della Forza Aerea Brasiliana a Campinas, San Paolo. Nonostante il progetto fosse coperto dal segreto militare ci fu una fuga di notizie e il maggiori produttori di automobili nazionali ed esteri fecero pressione sul generale Ernesto Geisel, nel frattempo diventato presidente, per fermare le ricerche del progetto Proalcool nel timore che il nuovo carburante portasse a necessarie e costose modifiche dei motori in circolazione. Con un’abile mossa propagandistica e pubblicitaria il capo delle ricerche del progetto ProAlcool, Bautista Vidal, che nel frattempo era diventato segretario per la tecnologia industriale, convoca una conferenza stampa aperta ai rappresentanti delle case automobilistiche e di fronte ai convenuti — che speravano fino all’ultimo di demolire il progetto — mostra i vari motori (Ford, Chevrolet, Wolkswagen, Fiat) da mesi in funzione ad etanolo senza conseguenze. Fu un esempio lodevole, per una dittatura, di impegno sostenibile nella complessa equazione energetica del pianeta.
Nella democrazia sindacale odierna, invece, si disputa ferocemente sul nuovo Codice Forestale Brasiliano. Le ragioni della contesa sono oscure; il codice è stato redatto da una commissione parlamentare composta principalmente da deputati di area, come diciamo qui, «ruralista» ovvero favorevole al commercio agricolo e all’agricoltura familiare. A quest’area, nel dibattito sul nuovo codice forestale, si è opposta l’area «verde»; e subito la questione ha preso un andamento pretestuoso di lotta del Bene contro il Male. Dato che nessuno ha letto ancora il nuovo testo in preparazione, non si sa bene di cosa si discute. Di certo non dell’unico argomento veramente essenziale: cosa devono fare i brasiliani delle loro foreste, in un mondo di nove miliardi di persone la maggior parte delle quali vittima di una cultura consumista di sviluppo cieco e incoerente? Il governo non riesce a far rispettare le leggi in vigore in materia ambientale, di qui il nuovo codice. Ma sembra difficile che sarà più rispettato o più efficace dell’attuale.
Secondo Antônio Donato Nobre, climatologo e ricercatore delle interazioni tra foreste e atmosfera, si può immaginare l’Amazzonia come un enorme bollitore che produce ogni giorno la mostruosa quantità di venti miliardi di tonnellate di acqua in forma di vapore, che si trasformano in fiumi volanti di acqua sopra l’immensa foresta. Per ottenere lo stesso risultato con un immaginario bollitore elettrico sarebbero necessarie cinquantamila dighe idroelettriche modello Itaipu (quella tra Paraguay e Brasile considerata una delle meraviglie dell’ingegneria moderna e la più produttiva al mondo) con costi decisamente favolosi; considerando che il processo naturale è totalmente gratuito.
Un’ultima considerazione riguarda il modello attuale di produzione dell’energia, che per ridurre i costi concentra gli impianti vicini tra loro e alle città e zone di maggior consumo. Così dighe idroelettriche, centrali a carbone, a diesel, a petrolio, miste e nucleari si accumulano e intere montagne vengono macinate per costruire montagne di cemento e svuotate per essere riempite di scorie e rifiuti in un incessante e poderoso lavoro. Mentre tutto intorno a noi, da centinaia di migliaia di anni, esistono tecniche gratuite (e anche affascinanti) di produzione e trasformazione dell’energia la maggior parte delle quali basate sulla più economica, pulita, soddisfacente e rilassante: l’illuminazione solare.
(traduzione e adattamento di Luca Colferai)