Douce France
Douce France. È passato un niente, un soffio di appena due anni, da quando i francesi, stanchi, insoddisfatti, scontenti, delusi, molti addirittura infuriati, detronizzarono brutalmente Nicolas Sarkozy, mandandolo a casa a fare le fusa (fortunato lui) alla bella italiana Carlà, e misero al suo posto, riportando al potere i socialisti dopo la sfolgorante epopea di Francois Mitterrand, quel pinguino bollito (ma sciupafemmine, come poi si scoprì), di Francois Hollande.
Gli stessi sentimenti di stanchezza, insoddisfazione, scontentezza, delusione, addirittura incazzatura, i francesi li nutrono adesso nei confronti del pinguino al quale appena ieri avevano affidato il compito ingrato di raddrizzare le gambette malferme del Paese un tempo felice della Marsigliese, quella Douce France del tempo passato mirabilmente cantata da Charles Trenet, dove di dolce è rimasta ormai soltanto la memoria.
Il disastro elettorale dei socialisti di Hollande alle elezioni amministrative di domenica scorsa, rimontato dal centrodestra dell’Ump pur priva di leader e di Sarkozy, ma soprattutto il successo dell’estrema destra populista, antieuropea, xenofoba e razzista del Front National, che l’abilissima Marine Le Pen sta cercando di rendere più presentabile di quand’era guidato da papà Jean-Marie, pone alcune domande piuttosto imbarazzanti. Per non dire apertamente inquietanti.
La prima domanda è se i francesi pensavano davvero che il pinguino socialista fosse miracolosamente dotato della bacchetta magica capace di ricucire in un battibaleno i guasti provocati dal suo predecessore, e di risolvere in quattro e quattr’otto, oltretutto in presenza di una crisi internazionale pesante come quella che stiamo vivendo, le numerose questioni aperte sul presente e sul futuro della Francia.
La seconda domanda è se invece è colpa di Hollande. Se cioè il pinguino che si pensava fosse all’altezza del compito, in realtà non lo è affatto. Non è capace di arginare la crisi, di trovare le misure giuste, in definitiva di risolvere i problemi. Se cioè ha sbagliato tutto, non ha indovinato una mossa (tranne quella di cambiare fidanzata), e dopo appena due anni è già venuto il tempo che prenda cappotto e dichiari fallimento. Questa domanda sembra avere qualche fondamento.
Ma c’è anche una terza domanda. Ancora più imbarazzante. Se cioè non sia colpa dei francesi. Che restano pur sempre, come vennero definiti un tempo, degli italiani di pessimo umore. Che vogliono sempre tutto, tutto presto e tutto bene, da chiunque non importa, Francia o Spagna purché se magna, come dicevano gli italiani di una volta. Che ti danno fiducia ma si stancano presto. Che votano sempre contro chi governa, sia di destra che di sinistra, anche se governa da un tempo corto. Perché sono sempre insoddisfatti. Favorendo, certo, in questo modo, una sana alternanza democratica al potere, ma facendo anche un po’ di confusione. Soprattutto sul futuro.
Difficile infatti intravedere per la Francia un futuro le cui sorti vengano affidate a una destra nazionalista, populista e antieuropea. Non a caso l’abile Marine Le Pen ha già cominciato a cambiare anche le parole d’ordine, definendo il suo partito solo «gollista», dove il richiamo al mai dimenticato e sempre rimpianto generale Charles De Gaulle suona dolce come il miele agli orecchi dei francesi di quasi ogni tendenza.
Ma cambiare la forma non cambia la sostanza. Anche perché c’è il rischio, concreto e reale, che il giorno dopo le elezioni europee di maggio, non sarà solo la Francia a mettere paura in Europa. ★