Dodici giorni in crociera
La prima volta di un crocerista vergine
Nonostante vi siano milioni di turisti in crociera ogni anno, non ancora tutti hanno fatto una crociera. Noi, per esempio, no. Al massimo d’estate andiamo a Torcello con la motonave passando per Treporti (poi si cambia a Burano). Michael Krondl, viaggiatore e scrittore (e maestro) di cucina, ha redatto il suo diario di crocerista familiare un poco obtorto collo a bordo della Ruby Princess. Se anche voi non avete mai fatto una crociera, o se l’avete fatta e volete confrontare le vostre esperienze, leggete questa testimonianza.
NEW YORK — La partenza da Venezia è stata gloriosa. Il Leviatano Galleggiante ha mollato gli ormeggi dalla Stazione Marittima e ha cominciato a fluttuare gentilmente giù per il Canale della Giudecca, passando la Salute, San Marco e San Giorgio, il Lido e via dentro l’Adriatico. Quindici piani più in alto potete guardar giù i vaporetti i motoscafi e le gondole e sentirvi come un pascià sul suo tappeto magico o magari un intrepido navigatore su mongolfiera dei secoli andati.
Quando siete sul ponte più alto di una nave da crociera, anche un mostro da tremila passeggeri come la Ruby Princess, non vedete nulla della nave sotto di voi, come non vedete nemmeno uno dei centodue piani dell’Empire State Building, quando siete in cima e guardate le strade di Manhattan giù da basso. Sono arrivato e sono partito a e da Venezia con il motoscafo dell’aeroporto, con il treno, con l’autobus, ma stavolta è stato decisamente e di gran lunga il tragitto migliore, magnificente direi. Persino il devastante martellante onnipresente Andrea Bocelli che canta a pieni polmoni Con te partirò non riesce a distrarre dall’incantevole vista.
Ma, non appena il campanile scivola via nell’azzurra foschia della sera di luglio, ecco che rapidissima la vita di bordo prende il sopravvento. E, porto dopo porto, città dopo città scivolate via dalla vista, ogni volta immancabilmente accompagnate dalla possente voce del tenore italiano sparata a sbregabalòn dagli altoparlanti, ho cominciato a nutrire una sempre più macabra visione riguardo ad una prematura dipartita del cantante non vedente, anche se sarebbe stato più pratico e più razionale tagliare tutti i cavi dell’impianto audio della nave.
Perché non c’è scampo, alcuna via di fuga. Come essere in un villaggio del Nord Corea, con gli altoparlanti dovunque, che zufolano la musica giusta per l’umore giusto. E allora Bocelli!, all’uscita da Napoli, e da Livorno, e da Istanbul; e poi via di allegra musica pop dal tramonto al tramonto (del giorno dopo, ovvio).
A volte il Grande Leader James interrompe le trasmissioni per esortarvi e darvi direttive dettagliate su come divertirvi: «Carissimi amici, oggi abbiamo un grandissimo programma preparato per voi…» e via di lista di gare di merengue, aste d’arte, lezioni di black jack, e sì proprio così lezioni di storia della cucina italiana tenute proprio da me. E subito di seguito al proclama ecco di stecca la musichetta, stile be happy don’t worry. Alla fine del viaggio mi sentivo come se fossi stato incarcerato in una grande, felice, prigione. Sì, è vero: avevamo la libera uscita quotidiana, ma solo per poche ore, e quando la sirena della nave suona (alle sei di sera) è ora di tornare di corsa alla mensa per il rancio, al cortile, e in cella. Con Andrea Bocelli.
Forse mi è sfuggito dalla penna perché ero a bordo della Ruby Princess, in crociera da Venezia a Barcellona, attraverso la Grecia, la Turchia, l’Italia e Monaco (a proposito: se non avete il vostro yacht privato, una nave da crociera è il solo modo per arrivare a Montecarlo!): sono stato arruolato dalle Linee Princess Cruise per dare una serie di lezioni a bordo. La mia paga era la mia crociera.
E non posso dire che fosse pessima – anche se l’inizio non è stato incoraggiante. Dopo molti mesi di revisioni e modifiche di contratto e un nugolo di e-mail (inviate, reinviate, direttamente, indirettamente, per conoscenza e per conoscenza nascosta) per essere sicuro che ospitassero tre persone (me, mia moglie e mia figlia) abbiamo trovato inevitabilmente una cella con due brandine singole e un coro di «non ci possiamo fare niente».
Anche il Grande Leader James è stato tirato nel pasticcio e, convocati nel suo quadrato, stava quasi per darci una bella strigliata per aver disturbato la sua quiete dorata. Forse non è gentile paragonare James, il direttore di crociera (questo il suo titolo ufficiale) a un dittatore, di qualsiasi cosa. James ha un fantastico gel per capelli, dei bicipiti molto ben sviluppati e adora il cha cha cha. Era chiaramente lanciato in una carriera destinata a portarlo a Ballando con le stelle quando è inciampato in questo lavoro.
Sfortunatamente per noi James ha tutta l’abilità e la vocazione al comando di un babbuino adolescente. Ovviamente non ha risolto il problema delle due cuccette per tre persone; però mi ha stimolato delle complesse fantasie comprendenti lui, i cavi degli altoparlanti, Andrea Bocelli, e il licenziamento in tronco.
Alla fine il problema è stato risolto da un intraprendente (diciamo così) steward che si è limitato (colpo di genio!) a infilare di brutto un materassino sul pavimento, tra le due cuccette. Detto questo, la stragrande maggioranza del personale di bordo era complessivamente gradevole, anche se occasionalmente del tutto inutile. Come gran parte della nostra vita nel sicuro, prospero mondo occidentale, il peggio che possiate veramente dire della Ruby Princess è che è stata veramente mediocre.
La vita in crociera segue due schemi diversi, uno in mare, l’altro in porto.
Quasi ogni giorno si arriva in porto al sorgere del sole e la gigantesca nave si ormeggia al molo con un procedimento complesso (come un parcheggio in doppia all’ora di punta) estremamente affascinante da osservare. Subito dopo i passeggeri ruscellano fuori e vengono compattati dentro bus turistici superraffreddati dai quali vengono spremuti fuori solo per inciampare in antichi monumenti ridotti a macerie e spruzzare dappertutto acqua minerale tiepida a quattro euro la bottiglia (da mezzo litro). Alle sei di sera, massimo sette, il processo viene ripetuto, al contrario. Così arriva la cena e James agli altoparlanti: «Carissimi amici, abbiamo organizzato per voi una serata veramente eccitante…». Detto tra noi: c’è un punto cieco, sul ponte sette, dove potete sfuggire alla musica; ma non a James.
Nei giorni di navigazione il ritmo è invece più rilassato, quasi addirittura piacevole. Il problema più difficile (che sono due) è: dove mangiare e quando mangiare?
In una delle sale da pranzo con il loro décor da centro commerciale extra-super-mega-lusso, o sul ponte con la meravigliosa vista del mare? Tutti sembrano preferire il primo. Il cibo è sempre disponibile: a colazione enormi buffet offrono tutto, dalle frittelle al paté. Il pranzo si limita a raddoppiare quantità e selezione, mentre la cena sembra stranamente un ripensamento.
Mi hanno detto che i piatti variano secondo la nave e la linea. Lo chef della Ruby sembra sia incappato in una piega dello spaziotempo: quasi come se si fosse addormentato in un hotel di San Moritz nel 1965 e si fosse svegliato oggi in mezzo al Mediterraneo. Arrosti e bolliti a disposizione non erano necessariamente male, ma ogni volta mi facevano sentire indeciso tra mettermi i ramponi ad attacco rapido e iniziare la scalata del Cervino, o rilassarmi a guardare il tramonto sopra Ischia.
E così, giorno dopo giorno. Tutto era accuratamente sotto controllo, come in una casa di cura o un penitenziario. Certo, a noi ci servivano manzo alla Wellington (quello ricoperto di paté, rivestito di un trito di cipolle funghi ed erbe aromatiche e saltato nel burro, incamiciato nella pasta sfoglia, e finalmente cotto arrosto e servito al sangue) ma dal punto di vista dell’organizzazione delle masse, una nave da crociera non è molto diversa da qualsiasi altra struttura contenitiva di una gran quantità di rinchiusi. Il fine è impedire che gli ospiti (o i detenuti, o i degenti) si ribellino. Almeno in questo il Grande Leader James è riuscito perfettamente nel suo compito.
Dopo dodici giorni di questa solfa siamo stati rilasciati sulla parola. All’alba la Ruby ha parcheggiato in doppia fila al molo di Barcellona. Siamo usciti a piedi, con le nostre valige e un croissant per colazione. Senza Andrea Bocelli. ★
traduzione e adattamento di Luca Colferai