3 motivi + 1
per vedere
«L’inganno felice»
al Malibràn
Comincia con successo l’attività dell’Atelier Malibràn della Fenice
Qualcuno avrebbe mai pensato che un inganno, cosa terribile per antonomasia, potesse rivelarsi… felice? E chi avrebbe mai potuto pensare che un inganno, oltre a rivelarsi felice, potesse addirittura trasformarsi in una felice sorpresa? Forse nessuno. Eppure tutto questo è successo.
VENEZIA — Ne sono stati testimoni gli spettatori che si sono recati recentemente, incuriositi, al Teatro Malibran: in questo delizioso teatro nascosto nelle vicinanze di Rialto dietro la chiesa di San Giovanni Grisostomo, dove una volta furono le case di Marco Polo, ha avuto luogo un piccolo evento, qualcosa di speciale, qualcosa ancora tutto da scoprire e che non gode di una finta fama, ma che nella sua umiltà e natura si è presentata così com’era, senza finzione e senza finte pretese. Si tratta appunto della messa in scena di un’opera scritta da Rossini 1812 e rappresentata la prima volta proprio a Venezia l’otto gennaio di quell’anno al teatro di San Moisè: «L’inganno felice», farsa per musica in un atto sul libretto di Giuseppe Maria Foppa. Detto solo questo non ci si aspetta chiaramente nulla di speciale, se non un’opera che forse si potrebbe rivelare carina, ma non tanto di più. Invece c’è molto di più, tanto che non vale solo la pena vedere questo spettacolo, ma ci sono bensì tre motivi (più uno) per cui non si può perderlo!
Motivo numero uno: Il compositore e la sua musica. Chi non conosce Gioacchino Rossini? Chi non ha mai fischiettato una delle melodie tremendamente indimenticabili tratta per esempio dalla sua opera più celebre, «Il barbiere di Siviglia»? La potenza dei cosiddetti crescendi rossiniani o la freschezza della sua scrittura orchestrale sono irresistibili. Quindi quando uno, passeggiando per le calli veneziane o fermandosi davanti al cartellone della stagione lirica del Teatro la Fenice, si trova di fronte ad un manifesto con scritto: «Inganno Felice – Farsa in musica in un atto di Gioacchino Rossini, prima rappresentazione Venezia 1812», come fa a non cercare il primo botteghino e prendersi un biglietto per vedere quest’opera? Se Rossini ha scritto il «Barbiere», allora è chiaro che si tratta di un compositore che sapeva scrivere musica così come Canova sapeva scolpire il marmo. Quindi anche un’opera poco conosciuta come questa sicuramente potrà riservare delle belle sorprese. E così è stato: l’inganno felice è uno spettacolo delizioso, in cui c’è tutto quello che possiamo aspettarci di trovare. L’opera si apre con un’energica e frizzante ouverture, inconfondibilmente rossiniana, seguito da ottanta minuti di musica in cui c’è tutto, arie, duetti, un terzetto, concertato finale, comicità, passione amorosa, tradimento, fiducia, amicizia e gran finale gioioso. Tutto questo strepitosamente scritto dalla mano di Rossini: cos’altro potremmo volere?
Motivo numero due: Atelier Malibran. Fino a poco tempo fa i fedelissimi abbonati della stagione lirica e sinfonica del teatro la Fenice si recavano di tanto in tanto al Malibran per non perdere alcuni spettacoli che erano compresi nel loro turno di abbonamento e, visto che ormai li avevano pagati, non andavano persi, anche se in realtà andare fino al teatro fratello minore non entusiasma proprio tutti, anzi: la Fenice è sempre la Fenice e merita sempre di andarci, indipendentemente da quello che succede dentro. Per il Malibran ci vuole un po’ più di convinzione, almeno per una larga parte del pubblico veneziano. Questa volta però c’era qualcosa di diverso: Progetto Atelier Malibran – Inganno felice di Rossini. Queste due nuove parole, progetto e atelier, hanno incuriosito! Il mistero era facilmente risolvibile: bastava leggersi il comunicato della Fenice a proposito della nuova stagione 2012.
Il nuovo progetto Atelier della Fenice al Teatro Malibran è una mossa tanto lungimirante quanto geniale, attraverso la quale si vuole recuperare il teatro di campo San Giovanni Grisostomo con la realizzazione, in collaborazione con l’Accademia di belle arti, delle cinque farse con cui Gioacchino Rossini iniziò proprio a Venezia la sua brillante carriera. Questo cosa significa? Significa che vengono messe in scena delle opere grazie al grande potenziale della gioventù dell’Accademia di belle arti che si occuperà di tutto e grazie all’esperienza dell’orchestra della Fenice, potrà mettere in scena una serie di spettacoli di alto livello in un contesto professionale. «L’inganno felice» è stato la prima di queste opere che verranno rappresentate nel contesto di questo progetto e l’esito è sorprendentemente straordinario. Gli studenti hanno partecipato a una sorta di concorso con bozzetti di scena dei quali ne è stato selezionato uno. Poi però tutti quanti hanno lavorato insieme per mettere in scena l’allestimento scelto, sotto la guida solare del regista Bepi Morassi. Lo staff del Teatro la Fenice ha poi affiancato ai ragazzi una sorta di tutor per ogni settore: per la regia, per la realizzazione dei costumi, per le luci, ecc. Il risultato è stato la prova che la qualità del lavoro dei giovani non è assolutamente inferiore a quella dei grandi professionisti. Ma c’è di più: questo progetto è stato anche prova che ci sono modi efficaci per affrontare situazioni difficili e di crisi come quelle di questi tempi, soluzioni che sono pregne di ottimismo e che permettono da un alto di mettere in piedi spettacoli di alto livello con costi contenuti e allo stesso tempo permettono ai giovani di farsi esperienze importantissime che saranno le fondamenta di una nuova generazione di artisti, scenografi, registi, appassionati di musica e di cultura. Se da un lato la realizzazione dello spettacolo è stato affidato ai ragazzi, dall’altro lato la parte musicale non è stata da meno. Il cast di cantanti giovani e soprattutto la direzione spumeggiante carica di vitalità del direttore d’orchestra Stefano Montanari sono stati esempi di come non è solo decisivo cosa viene rappresentato, ma è ancora più importante il come viene fatto.
Motivo numero tre: Giovani all’opera. Tra i giovani vige una sorta di regola imposta dalla natura, per la quale gli interessi si trasmettono per osmosi. Se io ho un amico o un’amica, o ancora meglio un amante, inizio a seguire i suoi interessi solo perché è quello che piace a quella persona o è quello di cui si occupa; o per lo meno ci provo. Se quindi una persona alla quale voglio bene è appassionata di musica dance ed io sono un cultore della cornamusa, sarò comunque disposto a seguirla fino in discoteca e va a finire che scopro qualcosa che non avevo mai preso in considerazione. Così se io invece sono il fan numero uno dei Metallica e i miei amici hanno realizzato la regia per uno spettacolo operistico in un teatro a Venezia, allora verrò sicuramente a vedere la recita. E così è stato per «L’inganno felice»: se decine di ragazzi hanno lavorato alla realizzazione di questo spettacolo, a vederlo sono stati sicuramente il quadruplo di giovani della stessa età (senza contare le recite riservate alle scuole). Questo non è forse l’unico modo per formare il pubblico di domani? Poi diciamola con tutta sincerità: uno a vent’anni si sente leggermente a disagio seduto in platea di un teatro, in mezzo a montoni e pellicce che profumano soavemente di naftalina. E il disagio è ancora più forte se s’indossa per sbaglio una felpa e un paio di jeans. Se si ha addosso solo una maglietta allora è l’imbarazzo puro. Ora, uno per sentirsi meno a disagio è meglio che vada con qualcun altro, così non si è l’unico, magari anche in tre, quattro, dieci… venti! E se poi durante i ringraziamenti finali uno vede comparire sul palcoscenico il direttore d’orchestra con una giacca nera e sotto una maglietta con scritto Bastard Bunny, allora ci si sente liberi di applaudire con tutta forza.
Motivo extra: ascolto consapevole: light design. Quando si guarda uno spettacolo di qualsiasi genere, in questo caso un’opera, spesso non ci si rende conto di tutto quello che accade dietro le quinte, sopra le quinte, sotto il palcoscenico, nella cabina nascosta della regia, nella buca dell’orchestra. Una cosa che è sotto gli occhi di tutti, ma di cui non si è mai consapevoli, sono gli effetti luci che determinano tutta l’atmosfera dello spettacolo. Alcuni effetti sono molto chiari, ben visibili e spesso molto d’effetto, ma di solito tutto lo spettacolo è continuamente plagiato da sottili cambi di luce spesso impercettibili se uno non sa esattamente dove guardare: l’unica cosa di cui ci si rende conto, spesso senza capire com’è successo, è il cambio di atmosfera. Ma sopratutto non ci rende conto di quanto lavoro c’è dietro. Il lavoro alle luci inizia molti giorni prima della premiére ed è un lavoro lungo, dove con molta pazienza il light designer, il regista, il maestro alle luci, i tecnici e le comparse lavorano per stabilire ogni singolo effetto come deve essere fatto e quando deve cadere all’interno dell’opera. In ogni spettacolo ogni cosa deve stare al suo posto, ogni cosa deve funzionare per non rovinare il resto: così, se da un lato spesso i cambi luci non si notano quasi, dall’altra parte un effetto chiamato in ritardo o in anticipo di mezzo secondo può rovinare l’intero spettacolo. Per «L’Inganno felice», chiedendo a chi aveva assistito alla rappresentazione, gli effetti di luce non sembravano tanti… forse una decina. In realtà gli effetti erano in totale 54, per una durata musicale complessiva di 80 minuti… ●