Giulio Savorgnan

Ritratto di un serenissimo gentiluomo

Un bel saggio di Flavia Valerio e Alberto Vidon, «Giulio Savorgnan. Il gentiluomo del Rinascimento e le fortezze della Serenissima» (Gaspari, 2018) ripercorre la vita di Giulio Savorgnan, che si snoda tra la nascita ad Osoppo, feudo di famiglia, nel 1510 e la morte a Venezia nel 1595, date che coincidono con la maturità e l’autunno del rinascimento. E dona un ritratto completo di un rappresentante iconico del Cinquecento veneziano.

Ritratto di Giulio Savorgnan attribuito a Domenico Brusasorzi (fonte: wikipedia.it).

VENEZIA — E uomo del Rinascimento fu appieno Giulio, servitore schietto della Repubblica, ingegnere esperto in fortificazioni e uomo d’arme, con una formazione solidamente umanistica, che lasciò il suo segno decisivo in molte fortificazioni, da Bergamo a Peschiera, dalla Dalmazia a Cipro, fino a Palmanova.

Appartenente alla nobile famiglia friulana dei conti di Savorgnan, che ebbe un ruolo da protagonista nell’annessione della regione alla Repubblica di Venezia (1420) ma che manifestò la sua influenza anche nel Medioevo. Nobiltà armata, del ramo dei Savorgnan dal Monte, tesa industriosamente alla ricerca in ambito di difesa militare, per il fatto stesso di avere il proprio feudo nel confine estremamente frastagliato della Repubblica, gravemente esposto alle mire espansionistiche dell’impero asburgico, oltre che alla minaccia Ottomana, con cui Venezia è ai ferri corti dal 1423, e la cui capacità invasiva si paleserà nell’assedio di Vienna del 1529.

La figura di Giulio è strettamente legata a quella altrettanto singolare del padre Girolamo. Girolamo si sposò quattro volte generando ventitré figli legittimi, imparentando così i Savorgnan con le più importanti famiglie della nobiltà veneziana, i Tron, i Malipiero, i Canal, i Tiepolo e i Marcello.  Il suo servizio verso la Repubblica, come uomo d’armi a difesa dei confini, ha episodi clamorosi e decisivi per la vita stessa della Repubblica, come quello del 1508, quando dopo la drammatica sconfitta veneziana di Agnadello, Girolamo comandò la riscossa con decisive vittorie al confine con la Carinzia e a Cormons, conquistando il feudo imperiale di Castelnuovo del Friuli. Per concludere con la strenua difesa (1513 e 1514) del proprio castello di Osoppo assediato dagli imperiali. La resistenza fu decisiva per sfiancare l’esercito avversario e riprendere il controllo su buona parte del Friuli. Per tali servigi raggiunse cariche importantissime nella Repubblica: tra le quali la nomina a senatore soprannumerario, e la gloriosa definizione di «difensore della patria».

Girolamo non fu soltanto un abile condottiero, ma anche uomo di cultura, amico intimo dei più importanti letterati del suo tempo interpreti del pensiero umanistico veneziano. Dal celebre Bembo al Longolio, a Bartolomeo Zamberti. Un’amicizia, in particolare, quella con Pietro Bembo, testimoniata da un nutrito scambio epistolare tra i due, che continuerà anche dopo la morte di Girolamo: con i suoi figli.

A ben vedere perciò la vita di Giulio non è che una continuazione sulle orme del padre Girolamo. E può essere divisa in tre capitoli ben precisi: gli anni della formazione, quelli al servizio della Repubblica, e quelli del ritiro dalle faticose cariche pubbliche, tra Osoppo e poi Venezia.

Gli anni di formazione vedono Giulio dapprima riceve un’eccellente educazione domestica, sotto l’egida di aii quali il grecista Giovanni Lascaris, mentre per il latino il letterato pordenonese Marcantonio Amalteo. Un educazione che non tralascia la musica ed il canto, e nemmeno una solida impostazione scientifica nelle materie dell’aritmetica, della geometria, dell’astrologia e della geografia.

Essere un nobile del Cinquecento significa appartenere ad un clan familiare con regole interne molto precise. Dei ventidue figli legittimi di Girolamo, soltanto cinque giunsero all’età adulta. I cinque di comune accordo decisero che solo uno, Marcantonio, avrebbe dovuto sposarsi, e che i suoi figli avrebbero preso il nome dei fratelli rimasti celibi. La decisione è di natura ovviamente strettamente politica, per impedire la frammentazione del feudo, a danno della Serenissima: rendendo la zona cuscinetto del Friuli molto fragile. Come scrisse Giulio: «tutto il nostro Friuli per tante divisioni vive in povertà, perché se maritano quasi tutti per conto de innamoramenti».

Per volontà paterna, a sedici anni fu inviato alla corte di Federico II di Gonzaga a Mantova, che in quel tempo, per la sua carica di capitano generale dello Stato della Chiesa e della Repubblica di Firenze (gli anni della lega di Cognac) attrae numerosi eccellenti uomini d’arme. Giulio restò a Mantova fino al 1529, partecipando ad un nutrito numero di battaglie nella compagnia del capitano Paolo Luzzasco. Fu richiamato ad Osoppo direttamente dal padre Girolamo, per allestire la difesa assieme al fratello Costantino contro gli imperiali: gli informatori della Serenissima davano notizie molto preoccupanti su un probabile tentativo d’invasione del feudo.

Alla fine delle beghe italiane conclusesi con la pace di Cambrai, la Repubblica sotto il dogado di Andrea Gritti inizia una vasta operazione di consolidamento e rinnovamento delle fortezze difensive sul suo ampio ed esposto territorio. L’avvento delle nuove tecnologie d’assedio impone un radicale ripensamento delle strutture fortificate. Viene chiamato il migliore ingegnere dell’epoca, Francesco Maria della Rovere, che incomincia la sua opera proprio dall’esposto confine friulano, entrando perciò subito in contatto con i fratelli Savorgnan. L’unione degli interessi in materia di difesa porta ben presto Giulio a diventare stretto collaboratore e allievo di della Rovere. Dopo la morte di della Rovere  (1538) l’incarico passò naturalmente al valente Giulio. Che si concentrò sulle difese di Cattaro, Zara, Corfu e Creta, aggiornandole con le nuove tecnologie difensive della fortificazione alla moderna. Un’attività che non tralascia lo studio e l’aggiornamento costante. Alla pubblicazione del trattato di Tartaglia sulla balistica e sulla fortificazione militare Giulio Savorgnan invia all’autore un nutrito numero di quesiti, che verranno dallo studioso tenuti così in gran conto da dedicargli due successive intere pubblicazioni. Il lavoro di Giulio proseguì fino al baluardo più esposto dei territori dello Stato da Mar: Creta e Cipro. Molte delle sue soluzioni difensive furono però scartate; e furono forse la causa della caduta successiva di Cipro. Savorgnan cercò possibili soluzioni alle difficoltà politiche ed economiche per il finanziamento delle difese: come il dedicare bastioni alle famiglie dell’isola disposte a finanziare l’opera.

Il ritiro dalle attività fu nient’affatto ozioso, come scrive: «in ocio con negocio». Nel castello di Osoppo, Giulio allestì un laboratorio per studiare il funzionamento di macchine per il sollevamento e lo spostamento grandi pesi e tradusse insieme a Filippo Pigafetta un importante testo di meccanica scritto da Guidobaldo del Monte (il Mechanicorum liber, 1577). Data la posizione strategica del feudo, accoglieva le più alte personalità in transito verso Venezia, quali ad esempio Enrico III Valois e l’Imperatrice Maria d’Austria. Si applicò a progetti di ammodernamento idraulico delle campagne friulane, e pose le basi per la costruzione della fortezza di Palmanova. Morì a Venezia il 15 luglio 1595 nella parrocchia di Santa Fosca. Il corteo funebre fu di una solennità unica, tutte le autorità della Repubblica vi parteciparono; l’orazione funebre venne tenuta da Giovan Battista Leoni (l’anti-Guicciardini veneziano) e la messa fu celebrata a san Giovanni e Paolo, pantheon degli eroi della Serenissima. La salma ritornò nella terra natia di Osoppo.

 

Flavia Valerio e Alberto Vidon, «Giulio Savorgnan. Il gentiluomo del Rinascimento e le fortezze della Serenissima» (Gaspari, 2018).

Giulio Savorgnan