Più statue ma basta uomini

Aphra Behn è un perfetto esempio del perché abbiamo bisogno di più statue di donne

Gran parte del dibattito pubblico, qui in Inghilterra, è imperniato su cosa fare con molte delle nostre statue: abbatterle, spostarle in un museo, lasciarle stare. In un recente articolo, il giornalista del Guardian Gary Younge è arrivato al punto di sostenere la rimozione di ogni statua pubblica di un personaggio storico.

Sir Peter Lely, ritratto di Aphra Behn (1670, Yale Center for British Art, Yale University, New Haven, Connecticut; fonte: en.wikipedia.org).

NEWCASTLE UPON TYNE — Posso simpatizzare con il suo argomento, ma non credo che questa sia la soluzione alla nostra attuale resa dei conti con i monumenti. In Europa abbiamo innalzato (e abbattuto) statue per secoli. Le statue non erano un’innovazione del XIX secolo, ma un programma culturale che affonda le sue radici nell’antica Grecia e a Roma. E forse siamo troppo coinvolti nella nostra immagine umana per smettere di erigere monumenti.

Le statue possono essere utili. Ci permettono di guardare a una visione proiettata di un noi ideale, ma ci consentono anche di mettere in discussione le idee e le strutture che supportano tale visione. Possiamo usare le statue come strumento per pensare e riflettere. Insomma, per conoscerci meglio.

Se c’è qualcosa che gli eventi dell’anno passato ci hanno insegnato, è che il pubblico ha un nuovo interesse per le statue. Prendiamo il monumento (recentemente inaugurato dalla scultrice Maggi Hambling) per la scrittrice femminista del XVIII secolo Mary Wollstonecraft. L’opera ha diviso l’opinione pubblica, ma ha anche mostrato l’enorme numero di persone che si sono sentite solidali. Il lavoro ha utilmente aperto un più ampio interesse pubblico su chi fosse Mary Wollstonecraft e su come potremmo rappresentare una donna così straordinaria.

Tali dibattiti non sono necessari per generare interesse per i contributi alla nazione della Regina Vittoria o dei Duchi di Wellington, ma ci sono centinaia di figure che hanno svolto ruoli fondamentali nello sviluppo del nostro tessuto culturale e sociale, le cui storie sono poco conosciute dal pubblico.

Se vogliamo comprendere meglio il passato della Gran Bretagna, dobbiamo iniziare a recuperare quelle voci. Probabilmente, potrebbero essere il mezzo migliore per bilanciare la comprensione pubblica del passato imperiale e patriarcale della Gran Bretagna con una storia più sfumata ed emarginata.

Monumenti per donne

Per quanto riguarda le storie delle donne, Wollstonecraft è solo la punta dell’iceberg. Le ultime settimane hanno visto l’inaugurazione di una statua per la suffragetta Emily Davison a Epsom, morta in un atto di protesta alla corsa di cavalli di Derby nel 1913. È in corso anche una raccolta fondi per statue per le sue sorelle suffragette Sylvia Pankhurst, Mary Clarke ed Elizabeth Elmy.

Questi sono i giusti omaggi alle donne che hanno dato la vita per i diritti delle donne, ma sono state calunniate dalla stampa del tempo.

Un apprezzamento per le precedenti attiviste è anche registrato in un progetto per elevare un memoriale per le Matchgirls (fiammiferaie), il cui successo nello sciopero nel 1888 è stato fondamentale per l’avanzamento dei diritti dei lavoratori.

Attualmente sono in corso i lavori su una statua per la pioniera della paleontologia, Mary Anning, che scoprì uno scheletro completo di un plesiosauro nel 1823 quando aveva solo dodici anni. E il pubblico può votare una rosa di progetti per una statua di Emily Williamson, che ha fondato la Royal Society for the Protection of Birds (RSPB) nel 1889.

Crescere scrittrici

Una campagna per la prima statua a grandezza naturale della scrittrice Virginia Woolf ha avuto impulso dalla copertura mediatica del memoriale di Wollstonecraft di Hambling. Speriamo che questo si traduca in sostegno, anche, per la statua proposta da Canterbury per Aphra Behn (1640-1689), dopo il lancio della campagna il 24 giugno.

Siete perdonati per sapere chi sia stata Aphra Behn. Gli studiosi stanno recuperando le sue opere e la sua importanza da decenni, e nonostante una delle commedie di Behn, The Rover (1677), sia entrata in quello che comunemente chiamiano programma di livello A, rimane ancora poco conosciuta dal grande pubblico.

Eppure Behn è stata una delle scrittrici più importanti dell’intera tradizione della letteratura inglese. Virginia Woolf lo riconobbe un secolo fa, quando scrisse che: «Tutte le donne insieme dovrebbero far cadere fiori sulla tomba di Aphra Behn, perché è stata lei a guadagnare loro il diritto di dire quello che pensano».

Per Woolf, l’importanza di Behn risiede nel fatto che è stata la prima donna scrittrice a diventare professionista. Oggi è chiaro che il suo contributo è stato ancora maggiore.

Behn ha scritto tantissimo, in tanti generi. Ha scritto almeno diciotto commedie, tra cui alcune delle opere più messe in scena del secolo successivo. Ha curato diverse raccolte di poesie, ha scritto il primo romanzo inglese, Love-letters between a Nobleman and his Sister (1684-87), e ha scritto una novella, Oroonoko (1688), che ha avuto come eroe tragico un principe africano che era stato venduto come schiavo.

Perché Behn non è conosciuta di più? Come per molti altri problemi che dibattiamo sulle statue di oggi, possiamo incolpare i Vittoriani, che la vedevano come un esempio pericolosamente immorale dell’impegno delle donne in un mestiere maschile. Behn è stata cancellata dalla storia della letteratura inglese nel diciannovesimo secolo, e siamo ancora agli inizi di un suo reinserimento. La statua di Canterbury offre un importante passo in avanti, pubblico per di più, in questo processo.

La mutevole accoglienza di Behn come scrittrice ci ricorda i mutevoli atteggiamenti della società nei confronti delle figure di spicco del passato. Non si tratta di una relazione statica, ma di un processo in evoluzione in cui abbiamo costantemente bisogno di rivisitare, rileggere e rivalutare.

Non c’è dubbio che il paesaggio scultoreo della Gran Bretagna (come di tutte le altre nazioni) sia attualmente distorto per suggerire una storia di progresso nazionale dominato da eroi imperiali, maschili e bianchi. Ma cosa sono gli eroi e che aspetto ha davvero il nostro passato? Questi sono i tipi di domande che dovremmo porre alle statue, piuttosto che accettare ciecamente le narrazioni che i monumenti sono stati progettati per trasmettere.

Il nostro rinnovato rapporto con le statue fa parte del nostro dialogo con il passato. Dovremmo erigere statue oltre che abbatterle.

 

Claudine van Hensbergen – Associate Professor, Eighteenth-Century English Literature, Northumbria University, Newcastle

Piu statue ma basta uomini