Vola sulla laguna
il teatro acrobatico
di Finzi Pasca
Titizé, a venetian dream
Ha debuttato a Venezia il nuovo lavoro teatrale di Daniele Finzi Pasca ispirato (senza retorica e banalità) alla città lagunare, che sarà destinato a girare il mondo. Un delizioso divertissement con dieci artisti della sua compagnia che sono acrobati, attori e musicisti. Ma Venezia in scena non si vede mai. Molte citazioni colte (e nascoste), atmosfere rarefatte, una grande ironia e poche parole, tutte in lingua veneziana. Repliche fino al 13 ottobre al Teatro Goldoni.
VENEZIA – Ci voleva un estroso folletto svizzero, il sessantenne attore, regista e coreografo Daniele Finzi Pasca, per spezzare, con un botto d’ingegno, la banale mediocrità delle stagioni di spettacolo di una Venezia sempre più miseranda.
Il suo “Titizé, a venetian dream”, in scena per tutta l’estate al Teatro Goldoni, si annuncia curioso fin dal titolo, che sposa la lingua veneziana (ti-ti-zé, tu sei) alla lingua del mondo, l’inglese, anche se non è –per fortuna- uno spettacolo da turisti, come quasi tutto ormai in città.
Finzi Pasca, titolare di una sua compagnia sulle rive del lago di Lugano, apprezzata in tutto il mondo, al quale il gotha del circo contemporaneo deve buona parte del suo successo, dal Cirque Eloize al Cirque du Soleil (“Luzia” e “Corteo”), ma che si distingue anche per lavori teatrali di un certo pregio, opere liriche, cerimonie olimpiche (Torino, Sochi) ed altro ancora, è riuscito a mettere in scena una piéce di teatro acrobatico con dieci artisti che sono acrobati, attori e musicisti, che rifugge da ogni banalità e luogo comune sulla città che fu Serenissima. Quasi un miracolo, coi tempi che corrono.
E’ un delizioso divertissement, leggero come una piuma, delicato come un bicchiere di cristallo, un “teatro dello stupore”, come lo definisce lo stesso regista, che mescola abilmente la clownerie legata alla tradizione, al linguaggio della commedia dell’arte, utilizzando sorprendenti e affascinanti macchine sceniche.
Abbondano sì (non dichiarate) le citazioni serenissime, dai Pulcinella del Tiepolo al rinoceronte del Guardi, dal maiale sacrificato in tempo di Carnevale fino all’elefante di S.Antonin ucciso in chiesa a cannonate, un episodio realmente accaduto nell’Ottocento, e raccontato in un libro, “Elefanteide” di Pietro Buratti, edito da Filippi. Ma Venezia non si vede mai (per fortuna). Non un’immagine, non una foto, non un video, non un fondale, non un oggetto. Solo fondali onirici, di luci e di veli, scenari di allusioni e trasparenze, e pesci che guizzano da tutte le parti, sirene e bagnanti e delfini che volano, gentiluomini d’altri tempi alla spiaggia che giocano a volano, guitti e cantanti, musici e ciarlatani. E soprattutto la lingua veneziana, l’unica parlata (poco ma correttamente) in tutto lo spettacolo.
Non un filo di retorica. Un’ironia contagiosa, piuttosto, dai moschiti che imperversano in laguna (mussàti è meno comprensibile), ai turisti che girano in bicicletta per le calli infastidendo i veneziani, fino ai quadri comici che recuperano vecchie gag circensi come la donna segata in due da un improbabile mago, e al concertino in punta di dita sul bordo dei bicchieri. Deliziose le musiche originali “senza tempo” composte da Maria Bonzanigo, raffinate le scene di Hugo Gargiulo. Un plauso a tutti gli interpreti: Gian Mattia Baldan, Andrea Cerrato, Francesco Lanciotti, Luca Morrocchi, Gloria Ninamor, Caterina Pio, Giulia Scamarcia, Rolando Tarquini, Micol Veglia, Leo Zappitelli.
Con un pizzico di presunzione (e un eccesso di follia), lo spettacolo starà in scena per tre mesi, fino al 13 ottobre, in una città in cui le repliche nei teatri durano al massimo tre giorni data la quasi estinzione dei veneziani, e il sostanziale disinteresse dell’alluvione dei turisti di giornata, quelli che credono di visitare Venezia in un pomeriggio e non hanno certo il tempo (probabilmente nemmeno la cultura e l’abitudine) di andare a teatro. Fortuna che Finzi Pasca ha costruito lo spettacolo per girare il mondo dopo il debutto veneziano, “riportandoci nei teatri che ci hanno accolto nei quarantasei Paesi che abbiamo sino ad ora visitato”. Allora sì che ne sarà valsa davvero la pena.