Venezia Capitale

Un progetto ambizioso per una salvezza difficile

L’emergenza-Venezia «di preminente interesse nazionale». Il caso sollevato al convegno nazionale su «Cultura e Turismo patrimonio del Paese», organizzato a Venezia dal Psi, con gli interventi del segretario nazionale Enzo Maraio e del segretario veneziano Luigi Giordani, arriva all’attenzione degli Stati Generali del Socialismo. Pubblichiamo sul caso-Venezia l’intervento dello scrittore e giornalista Roberto Bianchin che ha aperto il dibattito cui hanno partecipato numerosi esponenti del mondo della cultura, dell’imprenditoria e dell’associazionismo, giunti da ogni parte d’Italia.    

Turismo di qualità a Venezia (foto Sebastiano Casellati)

Se c’è un Paese che ha un patrimonio culturale unico al mondo, ed è un Paese tra i più visitati del mondo per le sue bellezze, naturali e non solo, questo Paese si chiama Italia. Eppure questo Paese non è ancora riuscito a coniugare in modo efficace queste due risorse, che potrebbero essere complementari anziché antitetiche, e a dar vita ad un intreccio virtuoso anziché perverso, come spesso accade. Abbiamo troppo spesso trascurato e abbandonato, anziché valorizzarlo, il nostro immenso patrimonio culturale, e abbiamo inseguito, specialmente al Sud, folli sogni di insediamenti industriali, vere e proprie cattedrali nel deserto, in zone dove avremmo invece dovuto sviluppare un turismo di qualità e non abbandonare al suo destino l’agricoltura.

Il caso di Venezia è l’emblema di questo contrasto irrisolto. Una città che trabocca di cultura, è soffocata da un eccesso di turismo senza cultura, ed è totalmente incapace di pensare e sviluppare una cultura del turismo. Cinquant’anni fa, nel 1973, la legge speciale per Venezia approvata dal Parlamento italiano, accendeva per la prima volta un riflettore sulla città, dichiarandola “di preminente interesse nazionale”, e fissava due obiettivi: la salvaguardia fisica e la rivitalizzazione socio-economica. Sul primo obiettivo sono stati fatti importanti passi avanti, con interventi di difesa della laguna, e con la realizzazione delle sia pur discusse e non ancora completate barriere mobili, peraltro costosissime e non immuni da fenomeni di corruzione. Il secondo obiettivo è stato completamente fallito.

Negli ultimi cinquant’anni Venezia ha perso un terzo dei suoi abitanti (il centro storico oggi ne ha solo 49mila, tanti quanti sono i posti letto…), ha perso quasi tutte le sue attività produttive, si è arresa alla monocultura turistica, è diventata un gigantesco bed and breakfast e si è ridotta a un invivibile bivacco di moltitudini lasciate allo sbando. Gli abitanti non ne possono più. Chiudono panettieri e merciaie e aprono fast food e negozi di maschere fabbricate a Taiwan. I vaporetti sono sempre intasati, per le calli è diventato quasi impossibile muoversi. La struttura fisica della città non è in grado di accogliere, per le sue dimensioni, un movimento turistico di 30 milioni di presenze l’anno, con punte giornaliere anche di 150mila, come nei giorni dei grandi eventi cittadini, da tutelare come beni preziosi, quali la Regata Storica, la festa del Redentore, la mostra del cinema del Lido. Questa invasione, non trovando strutture adeguate ad accoglierla, crea disagi, danni e malcontento. Peraltro c’è chi prospera col grande flusso di denaro che arriva nella casbah: un intreccio malsano di piccoli interessi omertosi, silenti, che non si confessano, e vivono in una sorta di pantano al limite dell’illegalità, dove viene difeso a oltranza ogni piccolo privilegio esistente, e dove nulla può essere toccato né cambiato, per non perdere neanche un centesimo del facile guadagno.

Venezia vive l’assenza assoluta di qualsiasi progetto. È la città meno governata d’Italia. Il posto dove si celebra il paradosso che la città capitale di cultura, da otto anni non ha nemmeno un assessore alla cultura. Il caso-Venezia deve tornare ad essere “di preminente interesse nazionale”. Per uscire dal pantano, ricostruire l’identità della città, riscattarne l’anima e ridisegnarne il destino. Serve un grande progetto per Venezia. Un progetto coerente con la sua storia, con la sua cultura, e con la presenza di importanti istituzioni culturali come la Biennale. Un progetto per Venezia Capitale. Non certo di uno Stato, come vorrebbero i nostalgici della Serenissima, ma Capitale italiana e internazionale della cultura, delle arti e degli spettacoli. Non serve un nuovo Doge per questo. Ma serve un progetto elaborato, discusso e condiviso con le forze economiche e sociali della città. Serve costruire un consenso intorno agli obiettivi. Serve una maggioranza capace di decidere, scommettere e rischiare.

Il primo obiettivo dev’essere riportare a Venezia il lavoro. Non possiamo pensare che i nostri nipoti abbiano la possibilità di scegliere solo se fare l’oste o la locandiera. Il fatto che non nascano più nuove imprese, salvo poche eccezioni, e che i grandi imprenditori investano molto poco sulla laguna, è indicativo di un meccanismo che va ribaltato. Superando la monocultura turistica, e guardando al turismo come a una risorsa anziché un fastidio, quindi organizzandolo con un sistema di servizi di qualità, che sono oggi completamente assenti. E con il lavoro devono tornare le case per i residenti. Per le giovani coppie innanzitutto. Bisogna ripopolare la città. Gli studenti non bastano, anche perché non diventano residenti, finiti gli studi se ne vanno dove trovano lavori socialmente qualificati, che Venezia oggi non offre più. Gli appartamenti in affitto vanno limitati. Va favorita viceversa una hotellerie di prestigio secondo la tradizione dei grandi alberghi veneziani. Le produzioni artistiche di qualità, dal vetro ai tessuti, vanno meglio tutelate. L’attività portuale va rilanciata. E i negozi di vicinato, che stanno scomparendo, vanno invece mantenuti: se in un sestiere chiude un panettiere, e il Comune ritiene che invece serve che rimanga un panettiere perché è l’unico che fa il pane in quella zona, può tenere sfitto quel negozio finché non arriva un altro panettiere.            

Venezia ha sempre vissuto il proprio destino come quello di una città capace di proiettarsi all’esterno. Una città di mare, non fortificata, aperta per definizione, un grande luogo di interscambio di merci e di culture. Una città internazionale, multietnica, plurilingue, crogiolo di razze e religioni. Venezia deve rimanere aperta. Non può chiudersi in un fortino innalzando barriere e ponti levatoi e mettendo guardie e imponendo balzelli. Dato che non puoi pensare di cancellare i turisti che sempre più numerosi vorranno venire a visitare quella meraviglia del mondo che è Venezia, e ne hanno pieno diritto, basterebbe semplicemente incominciare a fare quello che la città non ha mai fatto: organizzare i flussi turistici. Realizzando e incentivando un meccanismo di prenotazioni, facilmente gestibile in rete, in modo tale che per ogni giorno dell’anno non vi sia mai in città un numero di turisti tale da rendere invivibile il solo passeggiare per le calli. E questo senza bisogno di imporre altri biglietti e nuove tasse.

Va pensato, all’interno di questo progetto, anche un nuovo modo di accesso alla città. Paradossalmente chiudendo al traffico (quello privato, residenti esclusi) l’unico punto di accesso che attualmente è rappresentato dal Ponte della Libertà, per aprirne molti altri decentrati, almeno cinque, realizzando dei terminal attrezzati, con servizi di qualità, lungo la gronda lagunare, da Chioggia a Fusina, da San Giuliano a Tessera fino a Punta Sabbioni, ottenendo il risultato di liberare il ponte translagunare dall’assedio quotidiano, distribuire gli arrivi in punti diversi, e da lì indirizzarli verso zone decentrate del centro storico, in modo da far respirare l’affollata area marciana e consentire la scoperta e la valorizzazione di altri spazi della città.

Solo attraverso il confronto -e noi intendiamo cominciare a farlo con gli Stati Generali del Socialismo, dove porteremo il caso-Venezia come una grande emergenza nazionale- potrà nascere un progetto vero, serio e credibile per il futuro della città dei Dogi. È ora di smetterla di piangersi addosso e di essere capaci, come il goldoniano Sior Todero, solo di brontolare. Bisogna svegliarsi, alzarsi, discutere e progettare. Anche sognare. E sognare in grande. Dobbiamo pensare a uno sviluppo sociale in un ambiente difeso e con il patrimonio artistico protetto. Sono tre aspetti che non si possono scindere, invece finora sono rimasti separati, e questo non ha aiutato. Le “guerre di religione” che hanno attraversato Venezia in modo esasperato negli ultimi decenni, con i vari fronti del sì e fronti del no, veri e propri conflitti di potere tra bande rivali, hanno paralizzato la città in una folle sarabanda di veti incrociati, e hanno impedito di portare a Venezia quelle funzioni eccellenti senza le quali si rischia la deriva. È da mezzo secolo che tutti i mali continuano ad aggredirci senza che si sia trovata una cura. È davvero giunta l’ora di voltare pagina.

 

  

     

               

 

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