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Il Giovedì

Il gin di Sir Robin

Martin Fone

Il Ginascimento ha generato così tanti gin che è inevitabile che alcune delle vecchie categorie di gin (London Dry, Old Tom, aromatizzati, contemporanei e simili) siano sotto stress. Un gin di sicuro fluido di categoria è il Sir Robin di Locksley (che ho acquistato durante la mia recente visita a Constantine Stores, il non molto attraente quartier generale di Drinkfinder.co.uk, nel piccolo villaggio di Constantine, ua decina di chilometri da Falmouth, in Cornovaglia).

 

FRIMLEY — Il gin prende il nome dal notissimo fuorilegge Robin, che si è fatto un nome (così narrano leggende romanzi e film) rubando ai ricchi per dare ai poveri. Presumo che non ci sia ironia nel nome producendo un gin artigianale che costa ben oltre 30 sterline (33 euro e 50). Robin Hood operava nella foresta di Sherwood nel Nottinghamshire, ma il gin che porta il suo nome viene distillato a Portland Works, una cooperativa di Sheffield (nel South Yorkshire).

Per gli attuali standard ginascimentali (se possiamo dire così), il gin esiste da secoli: lanciato per la prima volta nel 2014. Gli ingredienti botanici della miscela sono i classici cinque: ginepro, coriandolo, cassia, angelica e liquirizia, integrati da dente di leone dello Yorkshire, sambuco del Lincolnshire, e con un sentore d’agrumi fornito dal pompelmo rosa. Il distillatore, John Cherry, utilizza uno spirito a base di cereali neutri in cui i vegetali vengono messi a bagno insieme per circa diciotto ore, prima di distillarli in un alambicco ibrido di acciaio inossidabile. La mia bottiglia è contrassegnata con il numero 1.380 dal lotto 68 del Regno Unito. Quando miscelato e imbottigliato, il prodotto finale ha un grado alcolico molto accettabile del 40,5%.

La bottiglia è piuttosto tozza con spalle arrotondate, un tappo rosso con un tappo artificiale e il retro dell’etichettatura conferisce alla bottiglia e al liquore una tonalità verde chiaro; un tocco attraente. Il logo è una “R” molto distintiva, composta da un alambicco, una piuma e una composizione degli ingredienti, e compare sia sulla parte superiore della bottiglia che sull’etichetta; lo schema di colori verde chiaro continua sull’etichetta frontale, che informa che si tratta di gin artigianale distillato e che proviene dalla ricetta numero 61.

Dal retro della bottiglia apprendiamo che i distillatori «mescolano amorevolmente botanici tradizionali con infusi più delicati di fiori di sambuco, dente di leone e pompelmo rosa, che creano un gin dal carattere unico». È lodevole che in qualche modo rispondano alla domanda perenne: cosa c’è nel gin? La superficie della bottiglia è stampata in rilievo: con Locksley nella parte superiore del collo, e un’ulteriore goffratura tutto attorno alla parte inferiore. Ha un aspetto elegante, ma mi chiedo se sia abbastanza appariscente da risaltare su uno scaffale affollato. Forse è rivolto a più a chi ne è alla ricerca, che all’acquirente occasionale.

L’aspetto e gli ingredienti sono tutti molto buoni, ma che sapore ha? Al naso l’aroma dominante è quello degli agrumi del pompelmo e del coriandolo, accoppiati al tono erbaceo del dente di leone. Ha la dolce sensazione di un Old Tom. Nel bicchiere il ginepro fa inizialmente sentire la sua presenza, per lasciare il posto alle note del fiore di sambuco e poi più dolci; infine subentra una sensazione più amara, ma dolce, presumibilmente del pompelmo rosa. L’aggiunta di una tonica ha avuto un effetto trasformativo, esaltando la dolcezza degli ingredienti prima di produrre un retrogusto secco e croccante.

Nello stile il gin sembra essere un incrocio tra un Old Tom (con la sua dolcezza distintiva) e un London Dry (più convenzionale) a base di ginepro. Mi è piaciuto, ma bisogna prestare attenzione alla tua scelta della tonica poiché un mixer eccessivamente dolce potrebbe rovesciare il tutto in un orribile pasticcio.

Alla prossima volta, salute!

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Novembre 2020
gin
Robin Hood

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